Ciao a tutti! Oggi per il secondo appuntamento mensile con Il Granaio vi racconto dei Canestrelli di Taggia. In Liguria le varietà di canestrelli, tra versioni dolci e salate, non si contano. I Canestrelli di Taggia sono delle ciambelline croccanti simili ai più famosi taralli pugliesi, del diametro di circa 10 cm, preparati con olio extravergine di oliva della riviera ligure. Sono perfetti per accompagnare salumi, formaggi ma anche a colazione inzuppati nel caffèlatte. Insomma perfetti per quando volete mangiarli! Per tradizione vengono preparati a Taggia nel giorno (12 febbraio) di San Benedetto, santo protettore della città, per ricordare quando il santo riuscì ad ingannare gli assalitori della città salvandola. Oggi vengono prodotti, sempre formandoli a mano, in tutti i forni della cittadina ma anche nelle valli vicine. CANESTRELLI DI TAGGIA ricetta tratta dal libro I.Fioravanti e V.Venuti "Lievitati di Liguria" ed. SAGEP , p.59 INGREDIENTI per circa 15 canestrelli: 250 g farina w160 60 g olio extravergine di oliva 2 g lievito di birra disidratato 5 g malto 100 g acqua fredda 5 g sale PROCEDIMENTO: Mettete nella ciotola dell’impastatrice tutti gli ingredienti tranne il sale. Iniziate ad impastare e quando l’impasto inizia a formarsi aggiungete anche il sale. Portate ad incordatura aumentando al velocità dell’impastatrice. Vedrete l’impasto acquisire forza e diventare liscio ed elastico; si staccherà completamente dalle pareti dell’impastatrice lasciandola pulita. Trasferite l’impasto sulla spianatoia, date una forma a sfera, copritelo e lasciatelo riposare 20 minuti. Dividete ora l’impasto in palline di 20-25 g ciascuna e lasciatele riposare sulla spianatoia per altri 20 minuti. Ora prendete ciascuna pallina e allungatela in un filoncino di circa 25 cm, sovrapponete le due estremità per formare il canestrello pigiando sul punto di contatto. Disponete tutte le ciambelle così formate ben distanziate su una teglia coperta di carta forno e fate lievitare per circa 90-100 minuti in luogo tiepido coperte da pellicola. Infornate a 160°C per circa 20 minuti fino ad avere una bella doratura. Il giorno successivo fate biscottare i canestrelli ancora in forno a 100°C per 25-30 minuti, in modo da renderli ben friabili. Conservateli al riparo dall’umidità. Ed infine ecco il paniere completo di questo appuntamento: Da Carla: Stella ai porri Da Consuelo: Pane soffiato al grano etrusco Qui da noi: Canestrelli di Taggia Da Sabrina: Corona ripiena con peperoni e cotto Da Simona: Mafalde e filone di grano duro integrale Tummina con semi di sesamo e lievito madre Da Terry: Pane con olive ed erbe di Provenza Seguiteci sulla nostra pagina FB IL granaio per non perdere le novità. Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
Ciao a tutti! Finalmente dicembre! Un mese atteso da grandi e piccini per tutto l’anno...un mese ricco di emozioni, tradizioni, tenerezza, a volte anche un po’ di malinconia. Per celebrare l’inizio dell’Avvento abbiamo pensato di lasciarvi un frollino, le fettine del faraone, a firma del maestro Luca Montersino e poi un’idea regalo, delle lanterne a forma di casetta, che con un po’ di fantasia potrete preparare voi stessi per poi donare a chi volete. Le fettine del faraone sono croccanti frollini ricchi di frutta secca, mandorle e nocciole in particolare, aromatizzati con cannella e vaniglia. Devono il loro nome al fatto che sono prodotti con farina di kamut. Il kamut è un cereale appartenente alla famiglia delle Graminacee che per il suo presunto ritrovamento in una tomba egizia, è anche conosciuto col nome di “grano del faraone”, da qui il nome di questi ottimi dolcetti. Ecco svelata la nostra ricetta con protagonista la frutta secca per l’appuntamento mensile con Segui le stagioni, la rubrica che insieme ad un gruppo di amiche blogger curiamo ogni mese con l’obiettivo di far capire l’importanza di utilizzare sempre e solo prodotti di stagione. Insieme alle Fettine del Faraone vi lasciamo un’idea per un regalo originale, le casette lanterna. Vi serviranno: barattoli di vetro vuoti di diverse forme, das e tempere. Non serve molto di più, se non tanta fantasia e un po’ di manualità. Non vi resta che divertirvi a costruire le vostre lanterne, modellando pezzettino dopo pezzettino e arricchendole con mille particolari e, dopo averle fatte asciugare bene, dipingerle con le tempere. Una volta finite, ho comprato delle candele a pile da inserire all’interno, in modo da poterle accendere anche tenendo chiuso il coperchio. Vi lascio un particolare di ogni lanterna. Ho pensato che una famiglia di topini volesse costruirsi una casa scavando una grande zucca: il coperchio del barattolo si trasforma nel picciolo della zucca, ho aggiunto un bel portone di legno, tante finestre da cui filtrerà la luce della candela e il gioco è fatto! Poi ho pensato ad una piccola casetta nel bosco e ad un tipico fienile rosso, ed è così che sono nate le prossime due casette: Infine, la mia preferita, il castello con il grande albero di Natale: Chi non ha desiderato da bambina di vivere in un castello??!! Ecco ho esaudito il mio desiderio...anche se in miniatura: Ora è finalmente arrivato il momento della ricetta... FETTINE DEL FARAONE Ricetta liberamente tratta da “Pasticceria in panificio”, AA.VV.,ed. Italian Gourmet, p 49 INGREDIENTI: 300 g farina di Kamut 120 g burro a temperatura ambiente 200 g zucchero semolato 120 g nocciole tostate 120 g mandorle tostate 2 uova grandi 1 g cannella in polvere ½ bacca vaniglia PROCEDIMENTO: Nella planetaria con la foglia montata impastate il burro con lo zucchero, aggiungete quindi le uova appena sbattute, la farina e gli aromi. Per ultime aggiungete le nocciole e le mandorle. Trasferite l’impasto sulla spianatoia e formate una mattonella di 3 cm di lato, fasciatela con la carta forno e trasferitela in frigo per qualche ora. Potrete scegliere anche di congelare la mattonella in modo da aver sempre pronto l’impasto per preparare queste gustosi dolci, da congelato potrete ottenere anche fettine più sottili. Tagliate la mattonella con un coltello a fettine spesse mezzo centimetro. Disponete le fettine su una teglia coperta di carta forno e cuocete in forno caldo a 170°C per 15-20 minuti. Fate raffreddare su una gratella da dolci. Una volta freddi conservateli in una scatola ermetica. Buon appetito! Vi lascio la lista della spesa del mese di dicembre... Ed infine ecco le nostre amiche da cui potrete trovare altre idee rigorosamente di stagione!!! Lisa Verrastro – Lismary’s Cottage Alisa Secchi – Alisa design,sew and Shabby Chic Enrica Coccola – Coccola Time Beatrice Rossi – Beatitudini in cucina Sisty Consu – I biscotti della zia Simona Milani – Pensieri e pasticci Maria Martino – La mia casa nel vento Anna Marangella – Ultimissime dal forno Susy May – Coscina di pollo Ely Valsecchi – Nella cucina di Ely Francesca Lentis – Crudo e cotto Ilaria Lussana - Biologa nutrizionista Miria Onesta - Due amiche in cucina Ilaria Talimani – Soffici blog Per non perdere nemmeno un post seguite la pagina di Seguilestagioni oppure la nostra bacheca Pinterest. Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
Ciao a tutti! Conoscete la Frandura? Immaginate di tornare al lontano 1800, a Montalto Ligure, un paesino dell’entroterra imperiese a metà della valle Argentina, arroccato su un colle che la sovrasta. Un ambiente contadino, semplice, povero. Sembra che i contadini di questo ameno borgo, nelle loro giornate di lavoro si sfamassero proprio con la frandura: una torta salata fatta di soli 4 ingredienti (escludendo sale e olio) in cui le patate sono protagoniste in un prodotto di una semplicità disarmante. Oggi la Frandura è diventata simbolo di Montalto tanto che in agosto viene organizzata una sagra interamente dedicata a lei. Le patate furono importate in Europa dalle Ande alla metà del Cinquecento ad opera degli spagnoli, ma in Liguria iniziarono ad essere utilizzate solo alla fine del Settecento quando don Michele Dondero, parroco di un paesino della valle Fontanabuona, riuscì con non poche difficoltà a farle apprezzare ai suoi parrocchiani. Da lì lentamente si distribuirono in tutta la Liguria assumendo grande importanza nell’alimentazione, prova ne sono le mille ricette della nostra tradizione con le patate come protagoniste: ad esempio focaccia di patate e torta Baciocca per dirne due. Ora non avete scuse nella Giornata nazionale della Patata. Preparate patate, latte, farina e formaggio e venite con me a preparare questa deliziosa torta, rimarrete stupiti dalla sua ricchezza. FRANDURA INGREDIENTI per una teglia diametro 34 cm (5 persone): 850 g patate (al netto degli scarti) 350 ml latte 250 g farina 100 parmigiano reggiano (in origine pecorino) olio extravergine di oliva noce moscata (mia aggiunta) sale q.b. PROCEDIMENTO: Sbucciate le patate e con l’aiuto di una mandolina tagliatele a fettine molto sottili, circa 2 mm, e disponetele a spina di pesce (cioè leggermente sovrapposte tra loro) in una teglia precedentemente unta di olio. Salate. Per tradizione questa torta viene cotta nelle teglie di rame (i testi della farinata) ma se non li avete potete utilizzare una teglia di alluminio coperta di carta forno. Preparate una pastella liquida con la farina, noce moscata e il latte, mescolate energicamente con una frusta a mano in modo da eliminare eventuali grumi. Aggiustate di sale. Con questa quantità di patate si riescono a fare due strati. Completato il primo strato coprite le patate con poca pastella quindi continuate col secondo strato. Infine ricoprite il tutto con la pastella distribuendola su tutta la superficie. In realtà secondo la ricetta originale la pastella tra i due strati non viene messa, normalmente si dispongono tutte le patate e si copre con la pastella solo alla fine. Cospargete la superficie con abbondante parmigiano reggiano grattugiato. Cuocete in forno già caldo a 200°C per circa 30 minuti o comunque fino alla formazione di una croccante crosticina sulla superficie. Controllate con una forchetta la cottura delle patate prima di sfornare. Va servita sia calda che fredda, qui hanno preferito la versione tiepida! Note: Come ogni ricetta della tradizione che si rispetti, anche la frandura ha mille varianti: nella versione di Badalucco, un paesino vicino a Montalto, sembra che la frandura sia arricchita anche da due uova. Il procedimento è lo stesso ma nella pastella il latte si riduce a 250ml e vengono aggiunte 2 uova, creando una versione ancora più completa. nella versione indicata nel “Codice della cucina Ligure”,pubblicato in schede da Il secolo XIX nel 1982, oltre a chiamarla Frandurà invece di Frandura, nella pastella vengono messe le uova come a Badalucco ed inoltre viene aggiunto un trito di pomodori, basilico, prezzemolo e una spolverata di noce moscata. Insomma una torta che vista la sua semplicità, si presta ad un interminabile numero di variazioni, il fotografo già se la immagina con uno strato di gorgonzola tra i due strati di patate! Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti della Giornata Nazionale del Patata.
Ciao a tutti! oggi ci spostiamo all’estremo ovest della nostra regione e precisamente ad Apricale, un piccolo borgo medioevale della provincia di Imperia, per farvi conoscere un dolce prelibato che si gusta affogato nello zabaione, le Pansarole di Apricale. Scelta migliore non potevamo fare visto il tema “mille idee con le uova” proposto per il secondo appuntamento di questo mese con la rubrica “Al Km 0”. Primo dubbio che mi sono posta: zabaione o zabaglione? In casa mia si è sempre detto zabaione e, facendo una piccola ricerca, ho scoperto che è la forma più frequente delle due e quella che più si avvicina alla probabile etimologia latina di questa parola. La forma zabaglione è indicata come una variante e da alcuni è considerata meno corretta dell’altra. Quando penso allo zabaione, ricordo mia nonna ma forse ancor di più una zia, la zia Gina. In casa sua lo zabaione si preparava nei giorni di festa, quando la casa si riempie di parenti e amici e infatti, se ripenso a quei tempi, mi sembra di vederla girare per casa con una ciotola enorme di zabaione e un grande mestolo impegnata a distribuire questa prelibatezza ai suoi ospiti. Non ho mai chiesto quanti tuorli usasse per preparne una tal quantità, ma dovevano essere davvero moltissimi!!!! Ad Apricale lo zabaione si accompagna con le pansarole, un nome buffo per indicare un piccolo bauletto di pasta lievitata e fritta. Il nome fa pensare alla “pansa” cioè la pancia, infatti friggendoli, questi rombi di pasta si gonfiano molto, ma non si sa se sia davvero la derivazione corretta. Ogni anno ad Apricale da ormai cinquant’anni la prima domenica di settembre si svolge la Sagra delle pansarole, in questo piccolo brogo dell’entroterra imperiese si riversano moltissime persone per gustare questo delizioso dolcetto. Come per ogni ricetta della tradizione anche qui le versioni non si contano, ognuno ha il suo segreto, che non vuole svelare, per preparare questo dolce: chi utilizza burro, chi olio extravergine, chi lievito di birra, chi lievito chimico... Vediamo come fare... ZABAIONE CON PANSAROE DI APRICALE Ricetta tratta dal libro “Lievitati di Liguria – Dolci & salati”, I.Fioravanti e V.Venuti, SAGEP editore INGREDIENTI (per 5 persone): 250 g farina W 220 2 g lievito di birra liofilizzato (8g se compresso) 1 uovo a temperatura ambiente 40 g zucchero semolato 80 g latte 20 g olio extravergine di oliva scorza grattugiata di limone un pizzico di sale per finire: olio per friggere zucchero semolato q.b. per lo zabaione: 4 tuorli 4 cucchiai di zucchero 4 cucchiai di marsala PROCEDIMENTO: Nella ciotola dell’impastatrice mettere tutti gli ingredienti tranne l’olio e il sale. Iniziare ad impastare a velocità bassa, quando tutti gli ingredienti sono amalgamati aumentare la velocità e portare ad incordatura. L’impasto così si trasforma: da informe e colloso acquista forza, diventa liscio ed elastico staccandosi perfettamente dalle pareti dell’impastatrice ed aggrappandosi al gancio con cui si impasta. Aggiungete il sale e l’olio a filo continuando ad impastare. Fate incordare per bene quindi trasferite l’impasto su una spianatoia, date forma tonda con delle semplici pieghe e ponete a lievitare in una ciotola al riparo da correnti d’aria e coperta con pellicola per 1 ora. Quindi stendete col matterello l’impasto fino ad uno spessore di pochi millimetri. Con la rotella dentellata (quella dei ravioli per intenderci) tagliate delle losanghe e lasciateli sulla spianatoia distanziati per un’altra oretta. Friggete in olio profondo facendo attenzione di non superare mai il punto di fumo, fino a doratura. Scolatele e passatele nello zucchero semolato. Servitele calde con lo zabaione. Per lo zabaione: In un polsonetto di rame sbattere con le fruste i tuorli con lo zucchero, mia nonna mi diceva girando sempre dalla stessa parte 😉 . Quando il composto sarà bianco e ben spumoso e comincerà “a scrivere” (a fare dei fili che uniscono frusta con il resto della massa) incorporate il marsala poco alla volta, facendo attenzione a non smontare il tutto. Cuocete a bagnomaria, continuando a mescolare con le fruste fino a che lo zabaione raggiunge una consistenza spumosa. Non deve mai arrivare a bollore durante la cottura, sarà pronto quando raggiunge una temperatura di circa 85°C, ci vorranno 15-20 minuti. Servitelo caldo con le pansarole. Buon appetito! Scopriamo ora insieme tutte le proposte de Al km 0 per il tema “mille idee con le uova”: Colazione da Sabrina: Caffè all’uovo (o cappuccino vietnamita) Pranzo da Carla: Crèpes con gamberi e carciofi Merenda qui da noi: Zabaione con pansarole di Apricale Cena da Simona: Uova e tonno in salsa verde alla piemontese Seguiteci sulla pagina facebook de Al Km 0 se vorrete essere sempre aggiornati su ogni uscita. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Per la ricetta di oggi ci spostiamo nella riviera di Ponente e precisamente a Pietrabruna, un piccolo borgo arroccato sulle pendici del monte Faudo tra rigogliosi uliveti e coltivazioni di fiori (la lavanda su tutti). La sua economia è dominata da questi due prodotti quindi non stupisce se tra i prodotti gastronomici tipici di questo luogo troviamo la torta Stroscia. Una torta semplice, perché caratterizzata da pochi ingredienti ma, proprio per questo, unica. In un periodo in cui è particolarmente “di moda” creare ricette che hanno come principale prerogativa l’assenza di vari ingredienti, direi che la Stroscia è assolutamente attuale, nonostante le sue lontane origini. La Stroscia è priva di uova ma anche di latticini! Sì avete capito bene, troverete tra i suoi ingredienti solo farina, zucchero, liquore, qualche aroma, lievito e olio extravergine di oliva ligure. È la prova della maestria delle massaie di un tempo che, con pochi ingredienti, riuscivano a creare ottimi prodotti limitando al massimo gli acquisti e quindi utilizzando solo i prodotti della loro terra. Oggi si prepara questa torta aggiungendo all’impasto lievito istantaneo per dolci, un tempo era totalmente naturale infatti veniva utilizzato il “levau” o crescente, una sorta di pasta madre fatta da farina e acqua, lasciata riposare al caldo di solito all’interno delle madie coperta da altra farina. Il nome di questa torta, deriva probabilmente dal dialetto “strosciare” cioè rompere, infatti per la sua consistenza è impossibile da tagliare con un coltello ma la si deve semplicemente rompere a pezzi con le mani. È una tipica torta da credenza, cioè uno di quei dolci che si possono conservare tranquillamente a temperatura ambiente in una credenza, appunto, per diversi giorni senza che alterino la loro bontà. Sono dolci semplici, quelli che potremmo definire anche come dolci delle nonne o da colazione, privi di creme, panna o altri alimenti che non durano nel tempo. La tradizione vuole che questa torta, la Stroscia, a Pietrabruna venga preparata il giorno di S.Matteo (21 settembre), patrono del borgo, e proprio in questi giorni viene celebrata con una sagra a lei dedicata. TORTA STROSCIA DI PIETRABRUNA INGREDIENTI (per una teglia 28 cm diametro): 350 g farina debole 180 g olio extravergine di oliva ligure (delicato) 90 g zucchero semolato + altro per lo spolvero finale 90 g marsala o vermut 25 g mandorle o nocciole (facoltative) 8 g lievito per dolci scorza di ½ limone non trattato un pizzico di sale PROCEDIMENTO: L’impasto si fa senza l’ausilio di alcuna impastatrice ma semplicemente con una ciotola e un cucchiaio. In una ciotola mescolate la farina, lo zucchero, il lievito, il marsala, il sale e la scorza di limone grattugiata. Aggiungete ora l’olio facendolo assorbire con l’aiuto di un cucchiaio. Trasferite l’impasto sulla spianatoia e finite di impastare con le mani, dovrete ottenere la consistenza simile a quella della pasta frolla. A questo punto, senza necessità di alcun riposo, trasferite l’impasto nella teglia unta con poco olio extravergine di oliva. Stendetelo con le mani arrivando ad uno spessore inferiore al centimetro. Lo spessore è molto importante perché vi garantirà un prodotto croccante. La superficie non dovrà essere perfettamente levigata ma anzi dovranno rimanere evidenti le ditate con cui avete steso l’impasto. Spolverate l’intera superficie della stroscia con zucchero semolato e volendo anche con mandorle (o nocciole) tritate. Cuocete in forno già caldo a 180°C per 35-40 minuti, dovrà diventare croccante. Fate raffreddare completamente prima di servire. Servite spezzettando la torta senza utilizzare un coltello per tagliarla. Potrete servirla in purezza o accompagnata con una crema tipo zabaione. Buon appetito! Con questa ricetta, partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti per la Giornata Nazionale dei Dolci da Credenza.
Ciao a tutti! Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana sta prendendo vita un grande progetto, il calendario del cibo italiano promosso da AIFB (Associazione italiana FoodBlogger). L'idea è quella di recuperare le tradizioni e i prodotti di cui è ricca la nostra terra, ma che molto spesso vengono dimenticati o trascurati per la tendenza a vedere sempre qualcosa di più interessante in ciò che non ci appartiene. Quindi per 365 giorni, ogni giorno sarà protagonista una ricetta diversa, oppure un personaggio storico o anche prodotti tipici, e lo stesso avverrà in ognuna delle 52 settimane presenti in un anno. Oggi è la giornata nazionale del MINESTRONE ALLA GENOVESE e noi ne saremo gli ambasciatori. Una ricetta della nostra amata città, una ricetta che fa parte di noi e della nostra storia e per cui è difficile trovare un origine se non la notte del tempi. Quindi preparate tutti gli ingredienti, sceglieteli ognuno con cura, mi raccomando che siano di stagione, tagliateli ognuno a tocchettini piccoli tutti della stessa dimensione, prendete un grande pentolone e con l'acqua giusta non vi resta che... Scegliere la pasta giusta: brichetti, scuccuzzu o taglierini freschi spezzati... E non esagerate con l'acqua deve coprire appena le verdure... Vi aspetto sul sito AIFB dove troverete il nostro articolo su questa splendida ricetta, abbiamo cercato di spiegarne un'origine, le caratteristiche principali, le sue peculiarità... Contribuiscono a questa nostra giornata anche Silvia del blog "Acqua e farina - sississima", Silvia del blog "La masca in cucina" e Fausta del blog "Caffè col cioccolato". Grazie ragazze! Vi aspetto... Intanto vi lascio la nostra ricetta... MINESTRONE COL PESTO INGREDIENTI per 4 persone: 150 g fagioli borlotti freschi (o 100 g secchi precedentemente ammollati) 150 g fagiolini in erba 200 g cavolo secondo la stagione 3 patate medie 200 g zucca e/o zucchine secondo stagione 3 – 4 pomodori 60 g funghi porcini freschi (o 15 g funghi secchi precedentemente ammollati) 1 cipolla media 1 spicchio d’aglio 2 carote 2 coste di sedano 200 g verdura di stagione (es. in estate: piselli, melanzane, fave..) olio extravergine di oliva sale q.b. una crosta di parmigiano reggiano 2 – 3 cucchiai di pesto senza pinoli 120 g pasta secca tra bricchetti, scuccuzu oppure taglierini freschi spezzati (calcolate circa 30 g a persona) PROCEDIMENTO: Per prima cosa lavate e pulite tutte le verdure riducendole tutte a tocchetti di dimensione abbastanza simile tra loro. La quantità di acqua che dovrete utilizzare per cuocere il minestrone non dovrà essere abbondante ma coprire a filo le verdure nella pentola. Mettete tutte le verdure e gli aromi in acqua fredda quindi portate a bollore. Fate cuocere a fiamma viva per una ventina di minuti quindi abbassate la fiamma e continuate la cottura per almeno 2 ore, mescolando spesso. A metà cottura, aggiungete la crosta di parmigiano raschiata e ben lavata e l’olio. Il segreto di un buon minestrone e quello di schiacciare parte delle verdure durante la cottura senza utilizzare frullatori ma semplicemente aiutandosi col mestolo e il dorso di un cucchiaio, questo garantirà di avere un minestrone ben denso. A cottura ultimata aggiustate di sale e aggiungete la pasta, controllate però di avere abbastanza liquido che permetta la cottura della pasta, altrimenti aggiungete acqua. Quando anche la pasta sarà cotta, lontano dal fuoco aggiungete 2 o 3 cucchiai di pesto preparato per il minestrone senza pinoli. Lasciate intiepidire e servite il minestrone distribuendo nei vari piatti un pezzetto della crosta di parmigiano cotta al suo interno. MINESTRONE CON SOFFRITTO Gli ingredienti sono gli stessi della precedente versione escludendo il pesto, ma cambia il procedimento. Pulite e lavate tutte le verdure e tagliatele a tocchetti di dimensione simile tra loro. Tritate la cipolla, il sedano e la carota. In una padella mettete 2-3 cucchiai di olio quindi aggiungete il trito (si può aggiungere anche del prezzemolo), fate soffriggere bene quindi aggiungete i pomodori e fateli cuocere lentamente fino a che quando si sarà assorbita la loro acqua di vegetazione. Mescolate spesso. Fatto questo soffritto lo dovrete aggiungere nella pentola dove staranno cuocendo il resto delle verdure (escluse quelle usate nel soffritto) secondo la ricetta precedentemente letta. Alla fine non dovrà essere aggiunto il pesto. Buon appetito!
Ciao a tutti! Oggi è la Giornata Nazionale della Farinata per il Calendario del Cibo Italiano, e la nostra Ambasciatrice d'eccezione è Sara Bonaccorsi del blog Cucina con Sara. Sul sito aifb troverete un suo dettagliato articolo. La farinata di ceci è una specialità tipica ligure, a Genova prende il nome di fainà, è una preparazione povera e molto nutriente a base di farina di ceci, acqua e olio extravergine di oliva. Probabilmente è uno dei piatti più antichi del Mediterraneo, scritti latini e greci riportano ricette a base di puree di legumi cotti al forno. Vista la sua lunga storia, diverse sono le leggende che vorrebbero raccontarne l’origine. Forse la più suggestiva è quella che racconta del viaggio di ritorno delle imbarcazioni genovesi vittoriose dopo la battaglia della Meloria contro i Pisani, era il 1284. Sembra che a causa di una violenta tempesta sulla via del ritorno, i cavi che assicuravano le scorte in cambusa si fossero rotti, tutte le scorte si sono quindi mescolate tra loro creando un miscuglio di ceci, acqua di mare e olio. Passata la tempesta, tutto quel cibo non poteva essere sprecato e la poltiglia che si era creata venne data da mangiare ai prigionieri della nave. Molti la rifiutarono, lasciandola nelle ciotole al sole. Il giorno successivo la fame li convinse ad assaggiare quel miscuglio che nel frattempo si era asciugato al sole e scoprirono che non era poi così male, tanto che tornati in patria, i genovesi perfezionarono la ricetta trasformandola nel nostro street food. Un tempo era mangiare dei poveri, oggi è diventata quasi un lusso. Tipicamente a Genova la troviamo nelle Sciamadde, antiche friggitorie dove, insieme alla farinata, troviamo anche focacce, torte salate e vari fritti. Sono tipicamente locali semplici composti per lo più da un grande forno, un bancone di marmo e forse le più moderne pochi posti a sedere. Si possono considerare come degli antichi fast food dove i camalli (lavoratori del porto), ma anche i passanti, potevano consumare un veloce pasto. Tradizionalmente la farinata richiede per la sua cottura l’utilizzo del tipico testo e la cottura nel forno a legna anche se con un po’ di attenzione si riescono ad ottenere discreti risultati anche col forno di casa. Il testo è una teglia di rame martellato stagnato perfetta per la cottura della farinata, il rame grazie alla sua conducibilità termica permette di distribuire uniformemente la temperatura su tutta la superficie. Una particolarità sta nel fatto che il testo o meglio il suo interno stagnato non deve mai essere lavato con spugnette abrasive e detersivi ma solo con acqua e aceto o con una soluzione di acqua e bicarbonato di sodio (appena utilizzato riempitelo d'acqua e lasciatelo così una mezz'ora, riuscirete a rimuovere ogni residuo facilmente). Al primo utilizzo per assicurarci una buona durata del nostro testo è importante seguire una procedura: lavare il testo con acqua e detersivo (unica volta) ma solo con le mani senza spugnette abrasive, asciugare bene con un panno, versarvi dentro abbondante olio d’oliva che copra la superficie quindi mettere il testo in forno caldo a 200°C per 10-15 minuti. Infine scolare l’olio e asciugare il testo con carta assorbente. Da ora potrete utilizzarlo tranquillamente. Dopo ogni utilizzo lo laverete solo con acqua e poco altro, lo asciugherete bene quindi versate al suo interno poco olio che andrete poi a stendere con un foglio di carta assorbente. Prima del successivo utilizzo non vi resterà che ripulire i residui di olio con carta assorbente e cuocere la farinata. Ultima cosa, il testo va riposto sempre appeso sfruttando l’anello di cui tutti sono muniti. Vediamo la ricetta anzi le ricette... FARINATA DI CECI GENOVESE INGREDIENTI per un testo di 36 cm di diametro: 170 g farina di ceci 510 ml acqua tiepida 85 ml olio extravergine di oliva 10 g sale PROCEDIMENTO: Mettete la farina di ceci in una ciotola e mescolando sempre bene con una frusta a mano, aggiungete l’acqua tiepida molto lentamente. Mescolate per bene in modo da ottenere un composto omogeneo senza grumi. Lasciate ora riposare il vostro composto per almeno 4 ore ma anche fino a 8 a temperatura ambiente, eliminando periodicamente la schiuma che si forma in superficie e mescolando ogni ora. Finito il tempo di riposo, aggiungete il sale e l’olio e mescolate bene. Ora è il momento di cuocere. Prendete il vostro testo (ma va bene anche una teglia se possibile di alluminio) coprite il fondo con un velo di olio e versatevi il vostro composto filtrandolo con un colino in modo da eliminare eventuali grumi. Nel frattempo scaldate il vostro forno alla massima temperatura possibile, la temperatura ottimale per cuocere la farinata è intorno ai 300°C, e cuocete la vostra farinata fino a quando sarà ben dorata in superficie, dipende del forno ma indicativamente ci vorranno 20-30 minuti (a seconda che utilizzerete il classico testo o una normale teglia), posizionando la teglia nella parte centrale del forno e facendo attenzione che la teglia sia ben piana. Appena cotta, sfornatela, porzionatela e servitela. Se utilizzate il testo per tagliarla usate utensili di legno o plastica in modo da non rovinare la stagnatura. Varianti: può essere semplice o arricchita con cipolle, stracchino, salsiccia, carciofi. Fino a qualche anno fa era famosa la farinata con bianchetti, il novellame di acciughe e sardine, di cui oggi è vietata la pesca. FARINATA DI GRANO TENERO SAVONESE INGREDIENTI per una teglia di 36 cm di diametro: 170 g farina grano tenero di media forza 510 ml acqua 55 ml olio extravergine di oliva 10 g sale PROCEDIMENTO: Mettete in una ciotola la farina di grano e aggiungete molto lentamente l’acqua mescolando sempre con una frusta a mano. Aggiungete il sale e lasciate riposare per almeno 4 ore ma anche fino ad 8. Terminato il tempo di riposo, eliminate l’eventuale schiuma che si è formata in superficie e mescolate l’impasto. Ungete con un velo d’olio il testo e versatevi il composto. Nel frattempo scaldate il forno a 200°C ed infornate la farinata. Sulla superficie si creeranno delle bolle dovute all’evaporazione dell’acqua, ruotate la teglia nel forno in modo che la cottura risulti omogenea. Il segno che la farinata è cotta sarà dato dalla sparizione di queste bolle e la conseguente doratura della superficie. Servite calda. Varianti: può essere aromatizzata con erbe aromatiche, con salsiccia sminuzzata, carciofi, formaggio, baccalà il tutto mescolato alla pastella prima della cottura. NOTE: (*) Per calcolare la giusta quantità di composto di entrambe le farinate da mettere nel testo, si può dire che per un testo di 36 cm di diametro sono necessari circa 600 ml di composto. Comunque partendo dalle quantità scritte nelle ricette appena viste, per variare la dimensione del testo basta seguire queste indicazioni: ogni cm in più o in meno del testo si deve: - aggiungere o levare 10 g farina di ceci - aggiungere o levare 30 ml acqua - aggiungere o levare 1 g sale Questo vale per tutte e due le farinate. Mentre per quanto riguarda il calcolo dell’olio tenete presente che nella farinata di ceci: ogni 100 g farina di ceci servono 50 ml di olio. Mentre nella farinata di grano un po’ meno e cioè: ogni 100 g farina di grano servono 35 ml di olio. (**) Un’ultima curiosità; queste viste non sono le uniche farinate: a Sori esiste una farinata di mais (fainà de granun), mentre a Sestri Ponente si parla di farinata di zucca (in realtà una preparazione del tutto diversa). Infine esiste una farinata col lievito, chiamata la Sciocca, in genovese sciocco significa soffice e l'unica differenza fra la farinata e la sciocca è proprio nella sua consistenza dovuta alla presenza del lievito. Buon appetito!
Ciao a tutti! Le Navette di Marsiglia sono dei dolci tipici della Provenza, hanno una forma che ricorda quella di una barca. Tradizionalmente sono preparate nel giorno della candelora, oggi, in cui si celebra la presentazione al tempio di Gesù, in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo (“luce per illuminare le genti”). Le Navette originali, per tradizione, possono essere prodotte solo da un unico forno a Marsiglia, l’antico Four des Navettes che da più di 200 anni produce questi biscotti conservandone gelosamente la ricetta. In realtà le Navette del Four de Navette sono diverse da quelle che si possono trovare anche in tutti gli altri forni della città: infatti sono lunghe circa 15 centimentri e percorse da una sottile fessura, hanno una consistenza piuttosto dura tanto che meglio scaldarle prima di consumarle per apprezzarne a pieno il sapore e durano moltissimo tempo, anche fino ad un anno. Altrove le Navette, come nella versione che vi lascio oggi, sono invece più piccole e morbide, hanno una forma a barca più marcata, assomigliano molto ad una frolla aromatizzata all’acqua d’arancio e quindi hanno anche una durata inferiore alle originali ed io le preferisco decisamente! Due leggende sono legate alla forma molto particolare di questi biscotti, che ricorda una barca. In una si narra l’approdo di una nave con una statua della Vergine Maria a bordo nel porto di Marsiglia, in questo gli artigiani della città videro un segno del destino e un simbolo di protezione. Mentre secondo un’altra leggenda la barca a cui si rifanno le Navette era la barca senza remi che aveva portato le tre Marie (Maria Maddalena, Maria Salomè e Maria Jacobè), cacciate da Gerusalemme, fino a Sainte-Marie-de-la-Mer. Hanno ingredienti semplici e quindi per apprezzare davvero il gusto di questi dolcetti è importante sceglierli con cura. NAVETTE DI PROVENZA Ricetta originale qui INGREDIENTI: 500 g farina debole 200 g zucchero 50 ml olio extravergine di oliva 2 uova medie a tempertaura ambiente 1 cucchiaio di acqua di fiori di arancio 2 arance (solo la scorza) 1 pizzico sale 1 cucchiaino lievito dolci latte q.b (per la glassatura finale) PROCEDIMENTO: Montate con una frusta elettrica le uova con lo zucchero arrivando ad ottenere una consistenza spumosa. Aggiungete il sale, l’acqua ai fiori di arancio e la scorza grattugiata delle due arance, mescolando ora con una spatola in modo da non smontare il composto. Aggiungere l’olio, a filo, continuando a mescolare con delicatezza. Ed infine unite la farina e il lievito poco per volta sempre mescolando, dovrete terminare l’impasto a mano su una spianatoia per ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Create una palla, coprite con pellicola per alimenti e riponete in frigo per almeno 1 ora. Trascorso il tempo di riposo, riprendete l’impasto, ponetelo sulla spianatoia e con le mani schiacciatelo leggermente in modo da ottenere un disco piatto e dividetelo in 16 spicchi. Da ogni spicchio otterrete un cilindro rotolandolo sul piano di lavoro, a questo punto l’ho ancora diviso a metà per non avere biscotti troppo grandi (avrete due cilindri più piccoli da ogni spicchio). Ora dovete dare la caratteristica forma, partendo dal cilindro che avete appena ottenuto: con le dita pizzicate le estremità della pasta e utilizzando un tarocco fate una fessura lunga poco meno del cilindro di pasta. Spennellate ogni navetta con il latte a temperatura ambiente e cuocete in forno a 180°C per circa 20 minuti (indicativamente ogni forno è diverso). Una volta cotte fatele raffreddare su una gratella. Buon appetito!
Ciao a tutti! Oggi prepariamo insieme i GATTAFIN DI LEVANTO per il nostro appuntamento mensile con la rubrica de Al km 0 che ha per tema “la natura nel piatto”. Nella nostra regione sono infiniti i piatti preparati con le erbette di campo, da noi indicate con un unico termine preboggion (in dialetto si legge prebuggiun) che indica una miscellanea di erbe commestibili. Questa tradizione un tempo era una vera e propria esigenza dettata dalla necessità di sfruttare ogni risorsa possibile in un periodo, quello fino alle due guerre, caratterizzato da scarse quantità di cibo, oggi è diventata una tendenza dettata dal desiderio di recuperare le tradizioni. La conoscenza delle erbe spontanee veniva tramandata di generazione in generazione, da madre in figlia, insegnandola da subito ai più piccoli. Non è possibile fare un elenco di quelle che sono le essenze che compongono il preboggion, perché la composizione varia moltissimo da stagione a stagione, ma anche da luogo a luogo. Possiamo dire che il periodo migliore per utilizzare le erbette di campo è la primavera, quando dopo le abbondanti piogge nascono le prime rosette fogliari molto tenere e ricche di nutrimento, ma si possono raccogliere anche in altri momenti. I Gattafin di Levanto sono solo uno dei numerosi piatti che in Liguria vengono preparati con il preboggion. Sono grandi ravioli fritti che racchiudono al loro interno un ripieno di erbe spontanee, il preboggion; naturalmente è possibile sostituire questo mix con erbe più facilmente reperibili come bietole, spinaci, poca borragine e poca scarola, quest’ultima ricrea quel leggero amarognolo delle erbette. Normalmente vengono serviti come antipasto, per noi sono diventati un piatto unico accompagnati da verdure fresche. Sono un piatto storico del territorio di Levanto, la cui denominazione è stata registrata depositando il marchio “Gattafin” dall’Associazione Sapori di Levanto. L’origine del nome Gattafin è dubbia e nel tempo si sono formulate due ipotesi: la prima, dalla raccolta di erbe spontanee da parte degli operai della cava di pietra in località La Gatta che poi dalle moglie venivano trasformate in questi ravioli fritti; la seconda, fa derivare i gattafin dalle “gattafure”, una parola del trecento con cui si indicavano le torte con ripieno di verdure. Andiamo a prepararli insieme... GATTAFIN DI LEVANTO Ricetta originale dal blog Le cinque erbe INGREDIENTI per circa 30 ravioli 8x8 cm: per la pasta: 300 g farina forte 30 ml olio extravergine di oliva 150 ml vino bianco secco acqua q.b solo se necessaria sale q.b.per il ripieno: 500 g preboggion oppure bietole 1 cipolla piccola 5/6 rametti di maggiorana fresca 1 uovo 60 g parmigiano reggiano grattugiato olio extravergine di oliva q.b. sale q.b.per friggere: olio extravergine di oliva oppure olio di semi di arachide PROCEDIMENTO: Con largo anticipo, io la preparo la mattina per utilizzarla nel primo pomeriggio e la ripongo in frigo, il riposo della pasta è molto importante per facilitarvi il lavoro quando dovrete stenderla, preparate la pasta dei ravioli. Utilizzo farina forte perché mi permette di avere una pasta più elastica. Impastate tutto gli ingredienti fino ad ottenere un impasto morbido ed elastico, aggiungete acqua solo se necessario. Una volta pronta la pasta lasciatela riposare almeno un’ora coperta da un canovaccio. Se la preparate molto tempo prima riponetela in frigo coperta da pellicola. Pulite il preboggion, quindi sbollentatelo velocemente in acqua bollente per poi passarli in padella con olio e cipolla tritata fina. Se utilizzate le bietole, pulitele, e tagliatele a striscioline sottili quindi (senza sbollentarle) passatele in padella con olio e cipolla tritata, una volta cotte ridurranno molto il loro volume. Salate e tenete da parte. In una ciotola mettete le vostre erbette o bietole, aggiungete la maggiorana tritata, l’uovo, il parmigiano (se non amate molto il sapore amarognolo delle erbette potrete aggiungere qui un cucchiaio di ricotta fresca). Mescolate il tutto ed eventualmente aggiustate di sale. Otterrete un composto abbastanza sodo. Ora riprendete l’impasto “riposato” e stendetelo col matterello sulla spianatoia infarinata. Con l’aiuto di un cucchiaio ponete piccole porzioni di ripieno su metà pasta ad una distanza di circa 5 cm l’uno dall’altro. Ripiegate l’altra metà della pasta sopra al ripieno, schiacciate bene la pasta intorno ai mucchietti di ripieno in modo da fra uscire l’aria, quindi con una rotella dentellate tagliate i vostri ravioli formando un quadrato 8 cm x 8 cm. Sigillate bene i lati con i rebbi di una forchetta e riponete su un vassoio infarinato in attesa della frittura. Friggete i ravioli pochi alla volta in abbondante olio, dovranno essere ben dorati in superficie. Scolateli bene su carta assorbente. Servite caldo. Buon appetito! Scopriamo ora insieme tutte le proposte de Al km 0 per il tema “Natura nel piatto”: Colazione da Simona: Biscotti con farina di miglio, yogurt, miele e polline Pranzo da Sabrina: Tagliolini al salmone con erbe aromatiche Merenda da Carla: Pancakes salati con verdure Cena qui da noi: Gattafin di Levanto Seguiteci sulla pagina facebook de Al Km 0 se vorrete essere sempre aggiornati su ogni uscita. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Ma sapete che ad oggi tra 110 giorni sarà Natale...ahhahahah...non sono impazzita ma in quest’ultima settimana i nanetti non fanno altro che chiedermi quando sarà Natale e se possono già scrivere la letterina...ad ogni pubblicità trasmessa in tv, con un gioco come protagonista, scatta la frase magica “Lo chiedo a Gesù bambino...” quindi non potevo non farmi un po’ contagiare... E il contagio ha anche colpito la mia confettura...sì proprio così...non so se anche per voi è uguale...ma qui, tradizione vuole che a Natale si mangino montagne di fichi secchi con le noci...e quindi visto che è tempo di fichi freschi e che io amo le confetture...allora eccomi accontentata con questa meravigliosa confettura di fichi con noci... Vi assicuro che è un vero confort food...spalmata su una fetta di pane (rigorosamente fatto in casa per me!!!) tostato con un velo di burro (per chi può!!!) accompagnando il tutto con un caldo tè aromatizzato alla vaniglia...uhuuu che bontà! Si tocca il cielo con un dito appena si viene avvolti dal dolce della confettura che viene esaltato dalla noce! Una colazione con i fiocchi...è un buon compromesso per pensare al Natale mentre si prepara in questi giorni la confettura e poi per pensare all’estate quando si gusta nel periodo natalizio! Sono folle!?! Sì lo so...avete ragione... CONFETTURA DI FICHI E NOCI INGREDIENTI: 1300 g fichi (al netto degli scarti) 800 g zucchero 1 limone 100 g gherigli noce ½ stecca di vaniglia PROCEDIMENTO: Sanificate (in casa si può parlare solo di sanificazione, la sterilizzazione si raggiunge solo in autoclave) i barattoli che poi utilizzerete per invasare la confettura(1). Pulite i fichi levando la buccia ed eventuali impurità e tagliate a pezzetti. In una ciotola mettete i fichi, lo zucchero, il limone spremuto (naturalmente deve essere non trattato) e il suo succo. Lasciate in infusione così per 2/3 ore ponendo la ciotola in frigo. Trascorso questo tempo trasferite tutto in una pentola adatta aggiungete i semi della mezza bacca di vaniglia, quindi mettete sul fuoco e portate a bollore. Fate cuocere per circa 20-25 minuti e a questo punto aggiungete le noci semplicemente spezzettate con le mani (io non le ho tritate perché mi piace molto mangiando la confettura sentire i pezzettini di noce). Portate la confettura a cottura verificando la consistenza con la prova piattino. Su un piattino freddo di freezer lasciate cadere una goccia di confettura: se scorre via veloce la confettura deve cuocere ancora, se scorre ma lentamente è arrivata a consistenza giusta, se non scorre per niente è troppo cotta...fate attenzione la prossima volta. Quando avete raggiunto la consistenza desiderata, è arrivato il momento di invasare la vostra confettura quando è ancora bollente. Invasate la confettura quindi sigillate il barattolo col tappo e capovolgete su un canovaccio. Fate lo stesso fino a terminare la confettura quindi avvolgete tutti i barattoli sempre capovolti nel canovaccio e lasciateli così fino al completo raffreddamento...io li lascio fino al giorno successivo. A questo punto avete due strade: o li riponete in dispensa direttamente sempre verificando che si sia creato il sottovuoto, cioè che il tappo non faccia più click clack (i barattoli in cui non si è creato, li dovete consumare subito e riporre in frigo), oppure pastorizzate la confettura, come faccio io per maggior sicurezza visto che spesso regalo le mie confetture. Avvolgete ogni barattolino in un canovaccio, riponeteli così fasciati in una pentola capiente, riempite di acqua fredda fino a superare di 5/10 cm la parte superiore del barattolo, quindi portate a bollore e lasciate bollire per 35-40 minuti, se sono barattolini da 250, altrimenti aumentate il tempo. Quindi spegnete il fuoco, chiudete la pentola con un coperchio e lasciate raffreddare completamente fino al giorno successivo, quando poi potrete finalmente riporre la vostra conserva in dispensa in un luogo buio e fresco. (1) Ancora una piccola nota sulla sanificazione dei barattoli. Avete diverse possibilità tra cui scegliere. Potete far bollire partendo da acqua fredda i barattoli in una capiente pentola per 30-35 minuti per poi lasciarli asciugare capovolti su un canovaccio pulito. Oppure potete sanificarli nel forno: accendete il forno a 100°C quindi, raggiunta la temperatura, inserite i barattoli senza coperchio e lasciateli nel forno così acceso per 10-15 minuti. Spegnete il forno e lasciate i barattoli dentro fino a quando invaserete la confettura. Infine potete utilizzare anche il forno a microonde: mettete un po’ d’acqua in ciascun barattolo (riempite per circa metà) quindi inserite nel microonde fate “cuocere” alla massima potenza per 3-4 minuti. Quindi prendete i barattoli, versate via l’acqua e fateli asciugare capovolti su un canovaccio pulito fino all’utilizzo. Per i tappi non vi consiglio nessun tipo di sanificazione perché io li utilizzo sempre e solo nuovi, a differenza dei barattoli in vetro che riutilizzo. Buon appetito!
Ciao a tutti! Eccoci al nostro appuntamento con la rubrica, “Alla mensa coi Santi”. Oggi prepareremo insieme i FRISCIEU (o frisceu) GENOVESI SALATI, frittelle arricchite con erbe varie che vengono preparate in onore da San Giuseppe ma che sono protagoniste delle nostre tavole anche in altri momenti dell’anno. Per questo mese abbiamo composto quasi un piccolo menù: qui da noi trovate un antipasto con i Frisceu genovesi salati, dalle nostre compagne di viaggio troverete, da Miria: la Minestra di san Giuseppe, un piatto a base di verdure e legumi di stagione tipico della Sicilia. Mentre da Simona troverete un dolce: gli Anelli di Santa Cunegonda, delle ciambelle lievitate tipiche della zona di Bamberga in Germania. In realtà la nostra scelta di questo mese non è stata molto originale, infatti lo scorso anno vi avevamo proposto i Frisceu dolci di san Giuseppe. Ma in onore di San Giuseppe, 19 marzo, non si preparano solo i frisceu dolci ma anche una loro versione salata, ed oggi sono proprio loro che vi proponiamo, in questo modo completiamo ciò che avevamo iniziato a raccontarvi lo scorso anno. I frisceu salati sono preparati con una pastella lievitata che può o meno contenere anche un tuorlo d’uovo a seconda di ciò che poi andremo ad aggiungere all’impasto. Potrete aggiungere le foglie più tenere della borragine, oppure un cuore di lattuga, della semplice maggiorana come abbiamo fatto noi, oppure ancora il baccalà, il cavolfiore, le cipolline fresche. In onore di san Giuseppe in tutta Italia sono molto diffusi i fritti, ma non solo infatti sono dedicati a questo Santo veri e propri banchetti ricchi di portate. Elemento fondamentale di questi banchetti è che devono essere invitati dei poveri, come gesto di carità ispirato a San Giuseppe Vediamo insieme cosa ci serve... FRISCIEU (o frisceu) GENOVESI SALATI Ricetta tratta (con qualche modifica) da “Lievitati di Liguria dolci e salati”, I.Fioravanti, V.Venuti, SAGEP Editore INGREDIENTI 250 g farina 0 1 g lievito di birra disidratato (o 8 g fresco) 1 tuorlo 180-200 g acqua ½ cucchiaino di zucchero 1 cucchiaino di sale maggiorana fresca q.b. Per friggere: olio di semi di arachidi PROCEDIMENTO: In una ciotola aggiungete la farina, il lievito, lo zucchero, il tuorlo e l’acqua. Mescolate con una frusta a mano e quando l’impasto è quasi amalgamato aggiungete infine il sale. Continuate a mescolare con la frusta fino ad avere una pastella liscia. Coprite la ciotola con pellicola e avvolgetela con un canovaccio. Fate lievitare in luogo caldo per circa 2 ore. Trascorso questo tempo tritate a coltello abbondante maggiorana ed aggiungetela alla pastella. Mescolate e cuocete in olio bollente piccole porzioni di impasto, aiutatevi con due cucchiaino. Scolate i frisceu solo quando saranno ben dorati nel tipico scola fritto che troviamo in ogni friggitoria della nostra città oppure su carta assorbente. Servite ben caldo con una spolverata di sale. Buon appetito! Con la rubrica “Alla mensa coi Santi” ci rivedremo il primo di aprile. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Oggi per il nostro appuntamento con la rubrica de “Il Granaio – Baking time”, vi proponiamo dei FROLLINI RUSTICI con farina di farro, zucchero di canna e tante gocce di cioccolato. Volevo provare a fare dei frollini senza uova, fino ad ora non li avevo mai fatti, e senza lattosio, ma non avevo idea da dove cominciare. Ho cercato un po’ sul web e sono capitata sul blog Sweetpic, i suoi frollini avevano un aspetto molto invitante e dal leggere la ricetta a mettere le mani in pasta è stato un attimo. In questo primo esperimento non ho modificato molto la sua versione per non cambiare troppo il risultato finale. Uniche mie modifiche sono state: la sostituzione dell’olio di semi con il nostro imprescindibile olio extravergine di oliva, l’aggiunta di gocce cioccolato, che devono essere assolutamente presenti per i miei figli se voglio che li degnino di un assaggio, e durante la preparazione ho terminato lo zucchero di canna, così all’esterno ho dovuto utilizzare lo zucchero semolato. Il risultato è stato un ottimo, anche se i miei non sono belli come gli originali, croccanti e perfetti da inzuppare nel tè o nel latte la mattina a colazione, per i miei figli sono diventati anche un’ottima merenda. Quindi promossi! Vediamo insieme come fare... FROLLINI RUSTICI Ricetta originale del blog Sweetpic INGREDIENTI: 250 g farina di farro 60 g maizena 5 g lievito per dolci 125 g zucchero di canna integrale 1 baccello di vaniglia 70 g olio extravergine di oliva 70 g latte di avena un pizzico di sale zucchero di canna grezzo q.b. PROCEDIMENTO: Mescolate in una ciotola la farina di farro, la maizena, il lievito, i semi della bacca di vaniglia e le gocce di cioccolato. In una seconda ciotola mescolate l’olio extravergine e il latte, quindi aggiungete lo zucchero di canna e mescolate bene. Trasferite il composto con l’olio nella ciotola con le farine e un pizzico di sale. Mescolate bene il tutto fino a formare un panetto compatto. Dividete ora il vostro panetto in due parti e formate due cilindri. Rotolateli ognuno nello zucchero di canna (io ho utilizzato lo zucchero semolato, perché non avevo più zucchero di canna!). Fasciateli ognuno nella pellicola e trasferiteli in frigorifero per almeno mezz’ora, la prossima volta proverò a metterli in frezeer in modo da ottenere un cilindro più compatto e più facile da tagliare a rondelle più precise. Tagliate i cilindri a fette spesse circa un centimetro. Trasferiteli distanziati su una teglia coperta di carta forno. Cuocete i frollini in forno già caldo a 180°C per 15-20 minuti fino a che saranno dorati. Fate raffreddare prima di servire. Buon appetito! Ed infine ecco il paniere completo di questo appuntamento: Da Carla: Focaccia con salvia, limone e capperi Qui da noi: Frollini rustici con farro e gocce di cioccolato Da Natalia: Panbrioche con orzo, latte di cocco e gocce di cioccolato a lievitazione naturale Da Sabrina: Babà al rum Da Simona: Agnellino di pane Da Zeudi: Focaccia di Tritordeum con semi misti Seguiteci sulla nostra pagina FB Il granaio Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
Ciao a tutti! Vi chiederete: “Cosa c’entrano i Krapfen, noti dolci di origine austriaca, con la tua Liguria?” Ebbene, grazie ad un astuto pasticcere di nome Romano Zampirolo che negli anni ’60 mise appunto la ricetta e iniziò a produrli nella sua pasticceria di Bogliasco, sono entrati a tutti gli effetti a far parte della nostra storia, e perché no, anche tradizione. Ed eccoci qui a parlarne per il nostro appuntamento mensile con la rubrica “Il Granaio”. Pensate che i Krapfen di Romano erano talmente tanto apprezzati dai suoi clienti che davanti al suo negozio in via dei Mille si formavano sempre lunghe code dopo le 4 del pomeriggio, ora in cui iniziava la vendita. Diventarono così motivo di fermata in questo borgo della riviera per i tanti che si trovavano a passare da quelle parti, anche molti personaggi famosi dell’epoca tessevano le lodi di questo prodotto. Oggi ormai né Romano né sua moglie ci sono più, ma si continua la tradizione e ogni anno a Bogliasco, i primi di giugno, viene organizzata a scopo benefico la sagra dei Krapfen di Romano in cui vengono fritti e poi farciti migliaia di questi golosi dolci utilizzando sempre la ricetta del famoso pasticcere. Anche nel resto della Liguria, anche in estate in spiaggia, è facile trovare in vendita i Krapfen, altro famoso produttore di questi tempi è “Cesare Krapfen” a Spotorno, località balneare del Ponente ligure in provincia di Savona. La ricetta che vi lascio qui oggi, non è la ricetta di Romano, ma è tratta da un vecchio libricino che ho scovato a casa dei miei genitori. KRAPFEN INGREDIENTI (per circa 30 krapfen di 8 cm di diametro): 600 g farina media forza (w 280-300) 200 ml latte 150 g zucchero semolato 70 g burro a temperatura ambiente 4 g lievito di birra disidratato (opp. 14 g lievito birra fresco) 4 rossi d’uovo 2 uova intere 2 cucchiai di Rum (per me Honey whiskey) buccia grattugiata limone 1 pizzico di sale altro: olio extravergine di oliva per friggere zucchero semolato PROCEDIMENTO: Preparate per prima cosa un lievitino: in una piccola ciotola mescolate velocemente 100 g farina (presi dal totale) con 100 ml latte (presi dal totale) e il lievito (tutto). Coprite e fate lievitare al riparo per 40 minuti. Il lievitino sarà pronto quando si formeranno sulla superficie delle piccole bolle. Nell’impastatrice mettete il lievitino pronto, il resto della farina, lo zucchero quindi aggiungete poco alla volta il latte rimanente, le uova (intere e tuorli) e lo zucchero. Quando l’impasto inizia a formarsi aggiungete anche il Rum e la buccia di limone. Infine quando inizia ad incordare aggiungete il burro a tocchetti e il sale. Il burro aggiungetelo a pezzettini per volta, aspettate che venga assorbito dall’impasto prima di aggiungerne altro. Ora giocando con la velocità dell’impastatrice portate ad incordatura, per aiutarvi spegnete l’impastatrice e staccate l’impasto dal gancio e dai lati aiutandovi con un tarocco e ribaltatelo. Fate questo passaggio due o tre volte. Dovrete ottenere un impasto liscio e lucido e la ciotola dell’impastatrice perfettamente pulita. Trasferite l’impasto sulla spianatoia, date un giro di pieghe a libro, formate una palla (pirlatelo) quindi trasferitelo in una ciotola leggermente unta. Coprite con pellicola e fate lievitare a circa 24°C fino al raddoppio. Stendete in un rettangolo fino ad uno spessore di ½ cm e tagliate i dischi con un coppapasta (o un bicchiere) di 8 cm di diametro. Riunite i ritagli in pezzatura da 40 g ciascuna, formate delle palline e fate lievitare per poi friggerli con gli altri. Lasciateli sulla spianatoia distanziati e coperti con pellicola da cucina a lievitare ancora 40 minuti (anche 1 ora). Quindi friggeteli in olio extravergine di oliva a 150° C – 160°C. Girateli a metà cottura, ci vorrà qualche minuto (in realtà li ho girati più volte). Fate attenzione alla temperatura dell’olio, mantenetela il più costante possibile altrimenti i krapfen cuoceranno velocemente fuori e rimarranno crudi dentro. Non abbiate fretta. Avrete ottenuto un perfetto risultato se otterrete il classico anello bianco lungo la circonferenza. Quando il krapfen è troppo lievitato diventerà grinzoso, mentre se poco lievitato risulterà pesante e gommoso. Scolateli bene dall’olio e se volete potrete ora farcirli con crema pasticcera, confettura o cioccolato e spolverate di zucchero a velo. Io li preferisco non farciti e ricchi di zucchero semolato! Nota: Per problemi di tempo, dopo aver finito l’impasto, l’ho lasciato a temperatura ambiente per un’ora poi l’ho trasferito in frigo per tutta la notte. Al mattino l’ho lasciato acclimatare per un’ora quindi ho continuato come da ricetta stendendo l’impasto in un rettangolo. Sembra che questo impasto soffra le condizioni atmosferiche. Un clima secco rende l’impasto perfetto, mentre la lievitazione si complica con l’umidità essendo un impasto ricco. Buon appetito! Ed infine ecco il paniere completo di questo appuntamento: Da Carla: chiocciole di pane con erbe aromatiche e ricotta Qui da noi: Krapfen in Liguria! Da Natalia: Pane misto con farina di avena a lievitazione naturale Da Sabrina: Brioche senza latte agli albumi Da Simona: Pane di semola incamiciato (con lievito madre) Da Zeudi: Pane di grano antico risciola Seguiteci sulla nostra pagina FB IL granaio per non perdere le novità. Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
Ciao a tutti! Conoscete la Frandura? Immaginate di tornare al lontano 1800, a Montalto Ligure, un paesino dell’entroterra imperiese a metà della valle Argentina, arroccato su un colle che la sovrasta. Un ambiente contadino, semplice, povero. Sembra che i contadini di questo ameno borgo, nelle loro giornate di lavoro si sfamassero proprio con la frandura: una torta salata fatta di soli 4 ingredienti (escludendo sale e olio) in cui le patate sono protagoniste in un prodotto di una semplicità disarmante. Oggi la Frandura è diventata simbolo di Montalto tanto che in agosto viene organizzata una sagra interamente dedicata a lei. Le patate furono importate in Europa dalle Ande alla metà del Cinquecento ad opera degli spagnoli, ma in Liguria iniziarono ad essere utilizzate solo alla fine del Settecento quando don Michele Dondero, parroco di un paesino della valle Fontanabuona, riuscì con non poche difficoltà a farle apprezzare ai suoi parrocchiani. Da lì lentamente si distribuirono in tutta la Liguria assumendo grande importanza nell’alimentazione, prova ne sono le mille ricette della nostra tradizione con le patate come protagoniste: ad esempio focaccia di patate e torta Baciocca per dirne due. Ora non avete scuse nella Giornata nazionale della Patata. Preparate patate, latte, farina e formaggio e venite con me a preparare questa deliziosa torta, rimarrete stupiti dalla sua ricchezza. FRANDURA INGREDIENTI per una teglia diametro 34 cm (5 persone): 850 g patate (al netto degli scarti) 350 ml latte 250 g farina 100 parmigiano reggiano (in origine pecorino) olio extravergine di oliva noce moscata (mia aggiunta) sale q.b. PROCEDIMENTO: Sbucciate le patate e con l’aiuto di una mandolina tagliatele a fettine molto sottili, circa 2 mm, e disponetele a spina di pesce (cioè leggermente sovrapposte tra loro) in una teglia precedentemente unta di olio. Salate. Per tradizione questa torta viene cotta nelle teglie di rame (i testi della farinata) ma se non li avete potete utilizzare una teglia di alluminio coperta di carta forno. Preparate una pastella liquida con la farina, noce moscata e il latte, mescolate energicamente con una frusta a mano in modo da eliminare eventuali grumi. Aggiustate di sale. Con questa quantità di patate si riescono a fare due strati. Completato il primo strato coprite le patate con poca pastella quindi continuate col secondo strato. Infine ricoprite il tutto con la pastella distribuendola su tutta la superficie. In realtà secondo la ricetta originale la pastella tra i due strati non viene messa, normalmente si dispongono tutte le patate e si copre con la pastella solo alla fine. Cospargete la superficie con abbondante parmigiano reggiano grattugiato. Cuocete in forno già caldo a 200°C per circa 30 minuti o comunque fino alla formazione di una croccante crosticina sulla superficie. Controllate con una forchetta la cottura delle patate prima di sfornare. Va servita sia calda che fredda, qui hanno preferito la versione tiepida! Note: Come ogni ricetta della tradizione che si rispetti, anche la frandura ha mille varianti: nella versione di Badalucco, un paesino vicino a Montalto, sembra che la frandura sia arricchita anche da due uova. Il procedimento è lo stesso ma nella pastella il latte si riduce a 250ml e vengono aggiunte 2 uova, creando una versione ancora più completa. nella versione indicata nel “Codice della cucina Ligure”,pubblicato in schede da Il secolo XIX nel 1982, oltre a chiamarla Frandurà invece di Frandura, nella pastella vengono messe le uova come a Badalucco ed inoltre viene aggiunto un trito di pomodori, basilico, prezzemolo e una spolverata di noce moscata. Insomma una torta che vista la sua semplicità, si presta ad un interminabile numero di variazioni, il fotografo già se la immagina con uno strato di gorgonzola tra i due strati di patate! Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti della Giornata Nazionale del Patata.
Ciao a tutti! Oggi per il nostro appuntamento con la rubrica de “Il Granaio – Baking time”, vi proponiamo i BISCOTTI DI TAGGIA, rustici biscotti tipici di Taggia, un piccolo borgo in provincia di Imperia. Ero alla ricerca di una ricetta che fosse adatta alla nostra rubrica, fosse una ricetta tipica della mia Liguria perché lo sapete che ho un debole per la tradizione e poi anche una ricetta che fosse perfetta per questo periodo di Quaresima. Ed è proprio durante queste ricerche che sono inciampata nei Biscotti di Taggia. A prima vista sembrerebbero proprio uguali ai nostri Biscotti del Lagaccio (o qui) ma in realtà gli assomigliano forse solo per la forma e per la doppia cottura, infatti il loro impasto è più semplice, sono aromatizzati con i semi di finocchio ed inoltre viene utilizzato l’olio extravergine di oliva al posto del burro. I Biscotti di Taggia detti anche “Bescheutti da Quaeixima” (biscotti di Quaresima) hanno una storia molto interessante ed antica, risalgono al lontano 1580 quando per la prima volta vennero preparati dalla Confraternita dei Bianchi e da quella dei Rossi per aiutare le famiglie che erano state colpite dalla grave carestia dell’anno precedente. Inizialmente non venivano preparati dei biscotti ma un grande pane che poi nel tempo si è trasformato nel Biscotto di circa un chilogrammo aromatizzato al finocchietto che ogni anno viene preparato e donato alle famiglie il giorno del Giovedì Santo per ringraziarle delle offerte ricevute. Durante tutto l’anno nei forni di Taggia si trova la versione più piccola del Biscotto di Pasqua, i Biscotti di Taggia che oggi vi propongo anche qui. La ricetta viene da un forno del Borgo la “Panetteria Valeria”. Ho cercato di non modificare la ricetta, ho solo diminuito la quantità di semi di finocchio (solo per una questione di mio gusto) e anche la quantità di lievito utilizzato. BISCOTTI DI TAGGIA Ricetta originale della panetteria “Valeria” INGREDIENTI: 500 g farina 0 200 g acqua 100 g zucchero 70 g olio extravergine di oliva 3 g lievito di birra liofilizzato (se fresco 15 g) 2 cucchiai di semi di finocchio 1 cucchiaino di miele ½ cucchiaino di sale PROCEDIMENTO: Inserite nell’impastatrice la farina, lo zucchero, il lievito e il miele. Azionate l’impastatrice alla prima velocità quindi iniziate da aggiungere l’acqua alternata con l’olio. Quando l’impasto inizia a formarsi aggiungete il sale e i semi di finocchio. Aumentate la velocità e portate ad incordatura. Lasciate riposare per 30 minuti nell’impastatrice coperto da un canovaccio. Riprendete l’impasto, trasferitelo sul piano di lavoro, dividetelo in due parti. Con le mani stendete le due parti in altrettanti rettangoli e arrotolate la pasta su se stessa formando due filoncini lunghi circa 30 cm ciascuno. Trasferite i due filoncini su una teglia coperta di carta forno, schiacciateli leggermente, quindi copriteli con pellicola e un canovaccio e fateli lievitare per 40 minuti. Con un tarocco tagliate ogni filoncino in fette di 2 – 3 cm di spessore ma senza staccarle tra loro, segnate le fette ma lasciate il filoncino unito. Coprite con pellicola e con un canovaccio e lasciate lievitare ancora per 1 ora / 1 ora e mezza. Cuocete in forno già caldo a 200°C per 20 – 25 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare completamente. Staccate ora le fette con le mani, sarà sufficiente una leggera pressione, quindi disponetele su una teglia coperta di carta forno tutte allineate. Fate tostare i biscotti a 125-130°C fino a doratura, girateli a metà cottura. Sfornate e lasciate raffreddare. Buon appetito! Ed infine ecco il paniere completo di questo appuntamento: Da Carla: Plumcake di pollo con porcini e spinaci Qui da noi: Biscotti di Taggia Da Natalia: Focaccia con porri e tonno Da Sabrina: Panbauletto variegato allo zafferano Da Simona: Pane con poolish a lievitazione mista Da Zeudi: Bagel Seguiteci sulla nostra pagina FB IL granaio per non perdere le novità. Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
Ciao a tutti! Eccoci al nostro appuntamento con la rubrica, “Alla mensa coi Santi”. Oggi prepareremo insieme un secondo: il Baccalà alla Ceraiola in onore di Sant’Ubaldo, patrono di Gubbio. Come ogni mese abbiamo cercato di comporre un piccolo menù con le nostre proposte dedicate ai Santi del mese. Simona ha preparato un antipasto, Ciambelline salate all'anice di San Michele, dei piccoli tarallini che vengono preparati in onore di San Michele nel Lazio. Qui da noi trovate un secondo: il Baccalà alla Ceraiola, una ricetta umbra dedicata a Sant’Ubaldo patrono di Gubbio. Infine da Miria troverete un dolce, il Canestrello di Vaie, un dolce tipico della Val Susa dedicato a San Pancrazio. Il Baccalà alla Ceraiola, è un piatto tipico della cittadina di Gubbio e viene preparato in occasione della Festa dei Ceri che ha luogo ogni anno il 15 maggio in onore del patrono della città, Sant’Ubaldo. I ceri sono tre gigantesche strutture in legno pesanti circa quattro quintali ognuna e sormontate rispettivamente dalle statue di Sant’Ubaldo (protettore di muratori e scalpellini), San Giorgio (protettore di artigiani e merciai) e Sant’Antonio Abate (protettore dei contadini e degli studenti). I ceri vengono portati a spalla e di corsa lungo le strade di Gubbio fino a raggiungere la Basilica di Sant’Ubaldo che si trova sul monte Iginio. Sant’Ubaldo apparteneva ad una nobile famiglia, si hanno poche informazioni sul piccolo Ubaldo, si sa con certezza che presto rimase orfano di entrambi i genitori e venne allevato da uno zio che si occupò della sua educazione. Lo zio avrebbe voluto per Ubaldo un normale matrimonio ma lui decise a quindici anni che la sua strada era quella religiosa. Nel 1114 venne ordinato sacerdote e da lì iniziò la sua vita sempre caratterizzata da una rigorosa regola che riusciva pacificamente a trasmettere ai suoi confratelli in ogni luogo dove si trovasse. Ma non solo questo perché è grazie a lui che Gubbio fu ricostruita dopo un grande incendio che la distrusse quasi completamente. Quando venne nominato vescovo di Gubbio riuscì con la sua grande forza persuasiva a sedare tutte le lotte intestine alla città addirittura gettandosi in mezzo ai contendenti supplicandoli di smettere, senza alcun timore, mettendo a repentaglio anche la sua stessa vita. E proprio per questo fu molto amato dal suo popolo. Riuscì a difendere Gubbio con la preghiera dall’assedio di alcune città toscane e la salvò dalla distruzione minacciata da Federico Barbarossa, che risparmiò la città perché molto colpito dal grande coraggio di quel vescovo che gli andò incontro armato solo della forza della fede. Ubaldo morì il 16 maggio 1160, e dopo alcuni miracoli che gli vennero attribuiti venne, prima, eletto patrono della città e, poi, dichiarato santo nel 1192 da Papa Celestino III. Il baccalà alla Ceraiola viene preparato in onore del santo il giorno della vigilia della festa il 14 maggio, dall’Università dei Muratori sotto gli Arconi di Palazzo dei Consoli. È una tradizione che si tramanda da generazioni e di cui si sono sempre occupati i muratori. È un piatto semplice ma molto gustoso, il baccalà viene cotto al forno semplicemente aromatizzato da rosmarino e vino bianco. BACCALÀ ALLA CERAIOLA Ricetta tratta dal blog della nostra cara amica Miria INGREDIENTI per 5 persone: 800 g baccalà già ammollato pangrattato q.b. 3 rametti rosmarino pepe q.b. olio extravergine di oliva vino bianco q.b. PROCEDIMENTO: La ricetta è molto veloce. Per prima cosa accendete il forno a 180°C. Tritate finemente gli aghi del rosmarino. Mescolate il pangrattato con il rosmarino tritato e il pepe. Tagliate i filetti di baccalà a piccoli tranci, quindi passateli da ogni lato nel pangrattato aromatizzato quindi trasferiteli in una teglia in cui avrete messo poco olio extravergine di oliva sul fondo. Cospargete altro pangrattato sui tranci, quindi aggiungete del vino bianco sul fondo della teglia e poco olio su ogni trancio. Infornate a 180°C in forno già caldo per 30-35 minuti. Decorate con fiori di rosmarino...io non li ho messi, il mio rosmarino non è ancora fiorito!!! Buon appetito! Con la rubrica “Alla mensa coi Santi” ci rivedremo il primo di maggio. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Conoscete la Frandura? Immaginate di tornare al lontano 1800, a Montalto Ligure, un paesino dell’entroterra imperiese a metà della valle Argentina, arroccato su un colle che la sovrasta. Un ambiente contadino, semplice, povero. Sembra che i contadini di questo ameno borgo, nelle loro giornate di lavoro si sfamassero proprio con la frandura: una torta salata fatta di soli 4 ingredienti (escludendo sale e olio) in cui le patate sono protagoniste in un prodotto di una semplicità disarmante. Oggi la Frandura è diventata simbolo di Montalto tanto che in agosto viene organizzata una sagra interamente dedicata a lei. Le patate furono importate in Europa dalle Ande alla metà del Cinquecento ad opera degli spagnoli, ma in Liguria iniziarono ad essere utilizzate solo alla fine del Settecento quando don Michele Dondero, parroco di un paesino della valle Fontanabuona, riuscì con non poche difficoltà a farle apprezzare ai suoi parrocchiani. Da lì lentamente si distribuirono in tutta la Liguria assumendo grande importanza nell’alimentazione, prova ne sono le mille ricette della nostra tradizione con le patate come protagoniste: ad esempio focaccia di patate e torta Baciocca per dirne due. Ora non avete scuse nella Giornata nazionale della Patata. Preparate patate, latte, farina e formaggio e venite con me a preparare questa deliziosa torta, rimarrete stupiti dalla sua ricchezza. FRANDURA INGREDIENTI per una teglia diametro 34 cm (5 persone): 850 g patate (al netto degli scarti) 350 ml latte 250 g farina 100 parmigiano reggiano (in origine pecorino) olio extravergine di oliva noce moscata (mia aggiunta) sale q.b. PROCEDIMENTO: Sbucciate le patate e con l’aiuto di una mandolina tagliatele a fettine molto sottili, circa 2 mm, e disponetele a spina di pesce (cioè leggermente sovrapposte tra loro) in una teglia precedentemente unta di olio. Salate. Per tradizione questa torta viene cotta nelle teglie di rame (i testi della farinata) ma se non li avete potete utilizzare una teglia di alluminio coperta di carta forno. Preparate una pastella liquida con la farina, noce moscata e il latte, mescolate energicamente con una frusta a mano in modo da eliminare eventuali grumi. Aggiustate di sale. Con questa quantità di patate si riescono a fare due strati. Completato il primo strato coprite le patate con poca pastella quindi continuate col secondo strato. Infine ricoprite il tutto con la pastella distribuendola su tutta la superficie. In realtà secondo la ricetta originale la pastella tra i due strati non viene messa, normalmente si dispongono tutte le patate e si copre con la pastella solo alla fine. Cospargete la superficie con abbondante parmigiano reggiano grattugiato. Cuocete in forno già caldo a 200°C per circa 30 minuti o comunque fino alla formazione di una croccante crosticina sulla superficie. Controllate con una forchetta la cottura delle patate prima di sfornare. Va servita sia calda che fredda, qui hanno preferito la versione tiepida! Note: Come ogni ricetta della tradizione che si rispetti, anche la frandura ha mille varianti: nella versione di Badalucco, un paesino vicino a Montalto, sembra che la frandura sia arricchita anche da due uova. Il procedimento è lo stesso ma nella pastella il latte si riduce a 250ml e vengono aggiunte 2 uova, creando una versione ancora più completa. nella versione indicata nel “Codice della cucina Ligure”,pubblicato in schede da Il secolo XIX nel 1982, oltre a chiamarla Frandurà invece di Frandura, nella pastella vengono messe le uova come a Badalucco ed inoltre viene aggiunto un trito di pomodori, basilico, prezzemolo e una spolverata di noce moscata. Insomma una torta che vista la sua semplicità, si presta ad un interminabile numero di variazioni, il fotografo già se la immagina con uno strato di gorgonzola tra i due strati di patate! Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti della Giornata Nazionale del Patata.
Ciao a tutti! Eccoci al nostro appuntamento mensile con la rubrica, “Alla mensa coi Santi”. Oggi prepareremo insieme la TORTA DI VIGNOLO, un dolce rustico classico piemontese preparato a Vignolo nel cuneese in occasione della festa dei santi patroni San Costanzo e compagni martiri. Per questo mese le nostre compagne di viaggio ci porteranno: Miria sui monti Tiburtini a Castel Madama per scoprire il TOZZOTTO DI SAN MICHELE, un’antica specialità al profumo di anice e alloro preparato in onore di San Michele; mentre Simona preparerà un dolce, tipico della mia regione, la STROSCIA DI PIETRABRUNA, in onore di San Matteo. Questo mese abbiamo pensato di lasciarvi un piccolo regalo e, grazie al grande impegno di Miria e Simona, abbiamo creato una raccolta di alcune delle nostre ricette che potrete leggere cliccando sulla foto qui di seguito: La terza domenica di settembre a Vignolo si festeggiano i santi patroni San Costanzo e compagni martiri. San Costanzo fu uno dei soldati appartenenti alla Legione Tebea, così chiamata perché tutti i soldati che la componevano erano originari di Tebe, scampati all’eccidio di Agauno (odierna Saint-Maurice in Svizzera) ordinato dall’imperatore Massimiano perché i soldati della legione si erano rifiutati di combattere i cristiani e li difesero. Venne decapitato per ordine di Massimiano durante la persecuzione di Diocleziano. Commilitoni di Costanzo furono Costantino, Dalmazzo, Desiderio, Isidoro, Magno, Olimpo, Ponzio, Vittore e Teodoro. Prima di subire il martirio Costanzo riuscì ad evangelizzare la Val Maira. Oggi è patrono, tra gli altri, di Vignolo, Saluzzo e di Villar San Costanzo dove si trova un santuario a lui dedicato, si trovano effigie a lui dedicate in diversi luoghi della val Maira. Fonti: - San Costanzo Martire - Santi Costanzo e compagni Martiri - Costanzo (Legione Tebea) - Legione Tebea La torta di Vignolo è un’antica ricetta vignolina realizzata con le materie prime locali, Vignolo era un paese ricco di noccioleti e vigneti, e un tempo cotta nei forni comuni o in quelli dei panettieri. I particolari segni, eseguiti secondo simbologie tramandate in ogni famiglia, che venivano e vengono incisi sulla torta oggi sono semplici decorazioni, un tempo erano importanti per poter riconoscere le proprie torte nei forni comuni. La tradizione vuole che si confezionino sei torte e che gli ingredienti della torta abbiano tutti sempre lo stesso dosaggio, sempre quantificato con il numero del tre o un suo multiplo. Prepariamo insieme la torta... TORTA DI VIGNOLO Ricetta tratta da “I dolci delle feste” Slow Food Editore INGREDIENTI (per una teglia 6 torte): 300 g farina grano tenero 300 g nocciole sgusciate 300 g biscotti secchi 3 tuorli d’uovo 300 g zucchero semolato 300 g burro olio extravergine di oliva (se necessario) PROCEDIMENTO: Sbriciolate i biscotti secchi e tritate finemente le nocciole tostate. In una ciotola (o direttamente sulla spianatoia) unite la farina con lo zucchero, i biscotti sbriciolati e le nocciole. Unite i tuorli, il burro fuso e impastate velocemente aiutandovi all’inizio con un cucchiaio. Se il composto dovesse risultare troppo asciutto, aggiungete poco olio extravergine alla volta oppure dell’albume sbattuto. Quando avrete ottenuto un impasto abbastanza compatto, pesatelo e dividetelo in 6 parti (nel mio caso ogni parte era circa 260 g) e con ogni parte formate una palla. Disponetele su carta forno e con le mani schiacciate ogni palla dando forma ad una torta rotonda di circa 1 cm di spessore (le mie torte hanno un diametro di circa 16 cm). Decorate la superficie con cerchi di diverse dimensioni aiutandovi con un coppapasta o con un semplice bicchiere premuto sulla superficie della torta e con disegni fatti con i rebbi di una forchetta. Cuocete in forno giù caldo a 180°C per 25 minuti circa. Dovranno essere ambrate e croccanti. Buon appetito! Con la rubrica “Alla mensa coi Santi” ci rivedremo il primo di ottobre. Inoltre ricordate che tutte le ricette de "Alla mensa coi Santi" sono raccolte in una utilissima MAPPA INTERATTIVA che vi permetterà di avere una visione di insieme e da cui potrete facilmente consultarle. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook. Vi aspettiamo anche sul nostro profilo INSTAGRAM
Ciao a tutti! Fine marzo, ormai la Primavera è arrivata (forse, qui stamattina ci sono 7°C!), quindi iniziamo a pensare alle “pietanze per far fagotto!” in previsione delle future scampagnate. Noi abbiamo pensato ad una merenda golosa, le Tortine cuor di mela, per il secondo appuntamento mensile con la rubrica Al Km 0. Le Tortine cuor di mela erano le mie preferite da ragazzina, come vi ho già detto varie volte, anche casa nostra era stata travolta dalla moda delle merendine che imperversava negli anni ’70. E la mia famiglia in particolare dimostrava un grande affetto verso il Mulino Bianco, ho perso il conto delle raccolte punti terminate. Tra le tante proposte vi erano queste tortine ripiene di mela che mi piacevano un sacco, una semplice frolla che avvolge un ripieno di purea e tocchetti di mela. Da grande avendo ormai del tutto perso il gusto per questi prodotti industriali, ho provato a far da sola e non ne sono affatto pentita, le tortine sono state gradite da tutta la famiglia persino dai piccoli. Vediamo come fare... TORTINE CUOR DI MELA Ricetta originale presa dal blog Pura Passione INGREDIENTI per circa 10 tortine da 9 cm diametro e altezza 2,5 cm: per la frolla: (*) 400 g farina per frolla 200 g strutto 180 g zucchero ½ cucchiaino di lievito per dolci 1 uovo intero 1 tuorlo d’uovo ½ bacca di vaniglia un pizzico di sale per la purea di mele: 5 mele 3 cucchiai di zucchero per finire: 3 mele PROCEDIMENTO: Per la frolla. In una ciotola mettete lo strutto, i semi di mezza bacca di vaniglia e lo zucchero. Amalgamate tutti gli ingredienti tra loro velocemente con le mani. Aggiungete ora l'uovo e il tuorlo ed incorporateli al composto grossolanamente con una forchetta. Sulla spianatoia preparate la farina a fontana aggiungete il pizzico di sale ed il cucchiaino di lievito. Infine unite il composto di strutto, uova e zucchero. Impastate velocemente in modo da evitare che le vostre mani scaldino troppo il composto. Quando avrete ottenuto un impasto omogeneo, formate una palla, schiacciatela leggermente quindi avvolgetela con pellicola e lasciatela riposare in frigo almeno un’ora. Potrete preparare la frolla anche con molto anticipo, ad esempio il giorno prima. Naturalmente potrete preparare la frolla anche con una planetaria o con un semplice mixer da cucina. Per la purea di mele ho utilizzato il metodo Luca Montersino che garantisce una purea molto chiara. Sbucciate le mele, eliminate il torsolo e tagliatele a fettine. Raccogliete tutte le mele in una ciotola adatta alla cottura in microonde, aggiungete 3 cucchiai di zucchero (se utilizzate mele non troppo dolci potrete aumentare la quantità di zucchero), mescolate. Coprite con pellicola (anch’essa adatta alla cottura) la ciotola, dovrete far aderire molto bene la pellicola alla ciotola avvolgendola con più giri in un verso e nell’altro. Mettete al ciotola in microonde e cuocete alla massima potenza per 10 minuti. La pellicola si gonfierà, poi si ritirerà verso l’interno della ciotola a formare il sottovuoto (per questo dovrete avvolgerla molto bene). Estraete la ciotola dal microonde, eliminate la pellicola (attenzione a non bruciarvi!) e riducete in purea le mele col frullatore. Tenete da parte. Nel frattempo pulite le mele rimanenti, dividetele in quarti quindi tagliate a cubetti piccoli ogni quarto. Vi servirà un quarto di mela a cubetti per ogni tortina. Potete ora assemblare i vostri tortini. Stendete la frolla ad uno spessore di pochi millimetri e ricoprite gli stampi da crostatina (**) che prima avrete imburrato e spolverato di farina. Bucate la frolla con i rebbi di una forchetta o con uno stecchino. In ogni tortina aggiungete due cucchiaini di purea, stendete sul fondo quindi aggiungete il quarto di mela tagliato a cubetti. Ricoprite le tortine con altra pasta frolla sempre stesa sottile, sigillate bene i bordi e bucherellate la superficie con uno stecchino. Continuate così fino a terminare tutti gli ingredienti. Scaldate il forno a 180°C e cuocete le tortine per circa 20 minuti. Lasciate raffreddare prima di sformare. (***) NOTE: (*) ho utilizzato una frolla allo strutto (scoperta facendo la torta Laurina), ma nulla vi vieta di utilizzare una frolla al burro classica. Volendo sostituire lo strutto col burro dovrete considerare la diversa percentuale di grasso trai i due prodotti quindi: sostituite 200 g di strutto con 240 g di burro. (**) ho utilizzato degli stampi con bordi ondulati, per semplificarvi il lavoro utilizzate stampi con bordi lisci. (***) non abbiate fretta come ho avuto io, se sono ancora calde non riuscirete a sformarle. Buon appetito! Scopriamo ora insieme tutte le proposte de Al km 0 per il tema “pietanze per far fagotto!” delle nostre amiche: Colazione Sabrina: Muffin alle mele e violette Pranzo Carla: Tortino di cavolfiore Merenda qui da noi: Tortine cuor di mela. Cena Simona: Quiche lorainne orto e noci con brisèe alle erbe provenzali Seguiteci sulla pagina facebook de Al Km 0 se vorrete essere sempre aggiornati su ogni uscita. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi apsettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Oggi per il nostro ultimo appuntamento di questa estate con la rubrica de “Il Granaio – Baking time”, abbiamo pensato di proporvi dei Panini con patate, prescinseua e rosmarino. La prescinseua, è la quagliata genovese, come vi ho già detto mille volte, un formaggio molto morbido con un gusto leggermente acidulo che è protagonista delle nostre torte salate, ma che ho scoperto essere molto versatile dopo averla provata anche in un dolce, una cheesecake con amaretti e caffè. Quindi perché non provarla anche nei lievitati? Il risultato sono stati dei panini morbidissimi. Ho utilizzato la prescinseua nell’impasto insieme alle patate profumate al rosmarino e il risultato è stato davvero ottimo. Potrete preparare questi panini per un buffet, un aperitivo o semplicemente per vivacizzare il vostro cestino del pane. Sono buonissimi da farcire ma ottimi anche mangiati da soli, il commento del piccolo di casa è stato “Mamma, sanno di focaccia!”. Inutile dirvi che sono spariti in un attimo, preparati nel primo pomeriggio non hanno raggiunto l’ora di cena, quindi vi consiglio di nasconderli appena sfornati!! PANINI PRESCINSEUA, PATATE E ROSMARINO Idea tratta da questo articolo INGREDIENTI (per 18 o 20 panini): 2 patate medie (150 g al netto degli scarti) qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva 3-4 rametti rosmarino fresco 500 g farina 00 120 g prescinseua (potete sostituirla con pari quantità di yogurt bianco+ricotta) 20 g olio extravergine di oliva 5 g malto 3 g lievito di birra disidratato (oppure 10 g lievito di birra compresso) 130 g acqua 10 g sale per finire: olio extravergine di oliva q.b. semi sesamo nero PROCEDIMENTO: Per prima cosa cuocete le patate. Sbucciatele e tagliatele a tocchetti regolari. In una padella scaldate qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva aggiungete il rosmarino ed infine le patate. Portatele a cottura aiutandovi con qualche cucchiaio di acqua, dovranno stufare non arrostire. Quando saranno morbide e cotte, trasferitele in un piatto eliminando gli aghi del rosmarino e schiacciatele con una forchetta. Tenete da parte. Nella ciotola dell’impastatrice, potrete anche procedere a mano, inserite tutti gli ingredienti tranne l’acqua e il sale. Se utilizzate il lievito fresco ricordate di farlo attivare con poca acqua e un cucchiaio di farina presi dal totale per una decina di minuti. Azionate l’impastatrice ed aggiungete poca alla volta l’acqua, con l’ultima parte aggiungete il sale. Aumentate la velocità dell’impastatrice e portate ad incordatura, dovrete ottenere un impasto morbido e liscio. Trasferite sulla spianatoia, date velocemente qualche piega all’impasto quindi lasciatelo riposare per 1 ora in una ciotola unta di olio e coperta con pellicola in un luogo tiepido, esempio nel forno spento con lucina accesa. Ora vi servirà una teglia da muffin (ciascun muffin diametro 7 cm), oliate ogni incavo e inserite un dischetto di carta forno sul fondo. Riprendete l’impasto e, con tanta pazienza, dividetelo in piccoli pezzi da 15 g ciascuno, formate una pallina da ogni pezzetto, pirlando l’impasto, quindi ponete TRE palline in ogni incavo. Oliate la superficie delle palline con un pennellino e cospargete di semi di sesamo nero. Coprite con pellicola e lasciate lievitare per circa 40 minuti. Cuocete in forno già caldo a 190°C per 20-25 minuti. Estraete dallo stampo e fate raffreddare su una gratella. Perfetti farciti ma ottimi anche da soli! Buon appetito! Ed infine ecco il paniere completo di questo appuntamento: logo granaio Da Carla: Pizza con carote colorate e stracchino Qui da noi: Panini prescinseua, patate e rosmarino. Da Natalia: Pane misto con farina di mais, farina 0 e farina integrale Da Sabrina: Croissant (con burro vegetale) Da Simona: Pane mix (farine 0, 1 e integrale con lievito madre) Da Zeudi: Friselle integrali Con la rubrica Il GRANAIO ci rivedremo a SETTEMBRE... Seguiteci sulla nostra pagina FB IL granaio per non perdere le novità. Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
blog su cucina tradizione ligure con incursioni in Italia e nel mondo, fotografia di cibo (food photography) e passioni di una moglie e un marito
Ciao a tutti! Questo dolce, dal nome impronunciabile, era nella lista delle ricette da provare da non so più ormai quanto tempo e, complici le vacanze appena concluse e i regali da fare, ho avuto l’occasione di provarlo finalmente... Ho letto di tutto e di più sulla sua storia e sull’origine: pare che già gli antichi romani si deliziassero con questa brioches tanto che, in uno scavo archeologico vicino a Vienna, sono stati ritrovati i tipici stampi scanalati in bronzo con un buco al centro. La cosa che mi ha colpita di più è che allo stesso nome corrispondono due ricette diverse, mi spiego meglio: una è una brioche quindi una pasta lievitata fatta con lievito compresso, mentre la seconda versione è una ciambella fatta con lievito chimico. Per non parlare poi di tutti i nomi che gli vengono attribuiti da Kugelhupf a Gugelhupf a Kuglof a Guglupf e forse anche altri ancora, a seconda della zona in cui viene preparato. Insomma un dolce che mi ha affascinato da subito per la sua storia, per la sua origine, per tutte le storie che ruotano intorno a lui. Pensate che potrebbe essere l'involontario padre del babà. Infatti sembra che re Stanislao di Polonia, vedendosi servire ancora lo stesso dolce di sempre, il gugelhupf appunto, ogni momento della giornata e ad ogni occasione, un giorno stizzito lo abbia allontanato maldestramente da sè facendogli colpire una bottiglia di rum che lo ha inzuppato. Stanislao assaggiò il dolce così inzuppato e ne rimase estasiato, attratto dal libro che stava leggendo, Le Mille e una Notte, lo rinominò Babà. E da lì inizio la storia di un altro grande dolce. Io amo queste storie!!! L’idea era quella di farne una versione a lievitazione naturale, sapevo che non era un'idea originale ed infatti ne ho trovato diverse versione sul web, ma quella che mi ha davvero convinto è questa. Rispetto alla versione originale, ho raddoppiato le dosi (anche se vi scrivo, per non crear confusione, le dosi per un unico dolce) per ottenere due gugelhupf, non ho messo il latte in polvere ed ho messo solo gocce di cioccolato omettendo i canditi non troppo amati qui da noi. Della mia versione non vedrete la fetta, ho regalato entrambi i gugelhupf e non potevo tagliarli per le foto!!! Sono comunque stati un vero successo!!! KUGELHUPF a lievitazione naturale INGREDIENTI per uno stampo con capacità di 2 lt: 80 g di pasta madre rinfrescata un cucchiaino di miele 250 g farina manitoba 80 g zucchero semolato 80 g latte 2 tuorli (circa 36 g) un uovo intero (circa 58 g) 4 g di sale 130 g di burro (da centrifuga) a temperatura ambiente un cucchiaino pieno di mix aromatico (10 g) 1/3 di bacca di vaniglia 75 g di gocce di cioccolata (conservatele in freezer fino all’utilizzo) Mix aromatico: 10 g miele 1/3 bacca vaniglia 4 g arancia candita buccia grattugiata di mezzo limone 1 pizzico sale mandorle per decorare zucchero a velo per spolverizzare PROCEDIMENTO: Ho preparato il mio gugelhupf il mattino e l’ho infornato la sera tardi quindi il giorno precedente ho rinfrescato la mia pasta madre due volte (stessa quantità di farina e pasta madre + metà acqua) mentre prima di dormire l’ho rinfrescata al doppio della farina (ad esempio 30 g pasta madre + 60 g farina + 30 g acqua)lasciandola lievitare per poi usarla la mattina dopo. Potete anche prepararlo la sera per poi infornarlo la mattina successiva, allora potrete rinfrescare la pasta madre 3 volte durante il giorno con rapporto 1:1 e impastare la sera quando sarà raddoppiata. Il giorno precedente preparate il mix aromatico frullando tutti gli ingredienti e tenetelo da parte. Ora iniziamo l'impasto. Nella ciotola della planetaria con la frusta “a K” montata: spezzettate la pasta madre, aggiungete il latte e il miele quindi azionate al minimo in modo da sciogliere la pasta madre. Unite ora l’uovo intero e lasciate lavorare per 2-3 minuti. Aggiungete ora tutta la farina continuando ad impastare, otterrete un impasto non completamente liscio, a questo punto potrete aggiungere i tuorli, alternandoli allo zucchero in 4-5 tempi. Non dovrete essere frettolosi, aspettate ad aggiungere altro tuorlo o zucchero solo se il precedente sarà completamente assorbito (cucchiaino per cucchiaino). A metà inserimento dei tuorli e dello zucchero sostituite il gancio a K con il gancio ad uncino e portate in corda. Attenzione a non surriscaldare troppo l’impasto, se succede interrompete e fatelo raffreddare per 10 minuti in frigorifero. Fate incordare l’impasto per bene anche aumentando la velocità se necessario, cioè l’impasto deve staccarsi dalle pareti della ciotola avvolgendosi ben stretto sul gancio a uncino. Aggiungete il sale, quindi il mix aromatico e i semini della bacca di vaniglia. Quando sarà ben incordato iniziate ad aggiungere il burro “a pomata”, pezzettino per pezzettino (aggiungete il successivo solo se il precedente sarà completamente assorbito) lentamente facendo attenzione a non perdere l’incordatura. Dovrete ottenere un impasto molto elastico e le pareti della ciotola rimanere pulite: tirando un lembo di impasto dovrà creare un velo senza spezzarsi. Infine unite le gocce di cioccolato appena tolte dal freezer e azionate la planetaria al minimo per farle assorbire all’impasto (potrete sostituire le gocce di cioccolato con altre sospensioni, ad esempio la versione originale prevede l’uvetta, l’importante è che rispettiate le proporzioni). A questo punto avete terminato l’impasto. Rovesciatelo sulla spianatoia e lasciatelo riposare (puntatura) all’aria per 45 minuti in modo che si asciughi formando una leggera pellicina che permetterà poi di pirlarlo più facilmente. Quindi fate una prima pirlatura, lasciate riposare ancora 30 minuti e ripetete la pirlatura, cioè arrotondate l’impasto, questa operazione è molto importante per la riuscita del prodotto finale. Sul web trovate diversi video sulla pirlatura. Con il pollice della mano fate un buco al centro dell’impasto ed allargatelo delicatamente. Prendete lo stampo, imburratelo e posizionate le mandorle nelle scanalature quindi, facendo attenzione, adagiate l’impasto nello stampo. Coprite lo stampo con la pellicola in modo da sigillare bene i bordi, e ponete a lievitare in un luogo caldo ad una temperatura di 28°C. Importante è mantenere costante la temperatura, altrimenti si allungheranno i tempi di lievitazione. Il kugelhupf sarà pronto per essere infornato quando la cupola dell’impasto arriverà a 1-2 cm dal bordo dello stampo, ci vorrà un tempo che va dalle 8 alle 14 ore anche se questo dipende da mille fattori non ultimo la forza del vostro lievito. Preriscaldate il forno statico a 190°C, scoprite il kugelhupf e lasciatelo asciugare all’aria fino a che lo infornerete. Cuocere a 180° per 15 minuti per il tempo dello sviluppo (ponetelo sul livello basso del forno, in cottura crescerà ancora molto), quindi abbassate a 165° e cuocete per altri 25 minuti. Cottura totale circa 40-45 minuti, misurate la temperatura interna infilando la sonda del termometro all’interno del kugelhupf puntandolo verso il centro. Quando la temperatura sarà di 96° gradi al cuore potrete sfornarlo. Una volta sfornato, lasciatelo raffreddare un’ora nello stampo, quindi capovolgetelo su una gratella fino al completo raffreddamento. Potete conservarlo, una volta freddo, in una busta per alimenti come per il panettone. Aspettate ad aprirlo almeno 10-12 ore in modo che gli aromi vengano perfettamente assorbiti. Spolverate di zucchero a velo e servite. Note: Per la versione con lievito compresso (lievito di birra): mescolate 50 g di acqua tiepida con 15 g lievito di birra, 1 cucchiaino di zucchero e 80 g farina. Impastate fino ad ottenere un impasto morbido. Coprite con pellicola e lasciatelo lievitare fino al raddoppio. Una volta raddoppiato questo impasto potete sostituirlo alla pasta madre nella ricetta. Impastate tutti gli ingredienti, create una palla e lasciate lievitare fino al raddoppio. Quindi riprendete l'impasto date la forma pirlando e ponete nello stampo, lascaite lievitare fino a quando arriverà a 1-2 cm dal bordo. Quindi cuocete. Naturalmente i tempi di lievitazione saranno notevolmente ridotti rispetto alla versione con lievito naturale. Buon appetito! Non mi resta che augurarvi un felice fine settimana!!!
Ciao a tutti! Le Navette di Marsiglia sono dei dolci tipici della Provenza, hanno una forma che ricorda quella di una barca. Tradizionalmente sono preparate nel giorno della candelora, oggi, in cui si celebra la presentazione al tempio di Gesù, in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo (“luce per illuminare le genti”). Le Navette originali, per tradizione, possono essere prodotte solo da un unico forno a Marsiglia, l’antico Four des Navettes che da più di 200 anni produce questi biscotti conservandone gelosamente la ricetta. In realtà le Navette del Four de Navette sono diverse da quelle che si possono trovare anche in tutti gli altri forni della città: infatti sono lunghe circa 15 centimentri e percorse da una sottile fessura, hanno una consistenza piuttosto dura tanto che meglio scaldarle prima di consumarle per apprezzarne a pieno il sapore e durano moltissimo tempo, anche fino ad un anno. Altrove le Navette, come nella versione che vi lascio oggi, sono invece più piccole e morbide, hanno una forma a barca più marcata, assomigliano molto ad una frolla aromatizzata all’acqua d’arancio e quindi hanno anche una durata inferiore alle originali ed io le preferisco decisamente! Due leggende sono legate alla forma molto particolare di questi biscotti, che ricorda una barca. In una si narra l’approdo di una nave con una statua della Vergine Maria a bordo nel porto di Marsiglia, in questo gli artigiani della città videro un segno del destino e un simbolo di protezione. Mentre secondo un’altra leggenda la barca a cui si rifanno le Navette era la barca senza remi che aveva portato le tre Marie (Maria Maddalena, Maria Salomè e Maria Jacobè), cacciate da Gerusalemme, fino a Sainte-Marie-de-la-Mer. Hanno ingredienti semplici e quindi per apprezzare davvero il gusto di questi dolcetti è importante sceglierli con cura. NAVETTE DI PROVENZA Ricetta originale qui INGREDIENTI: 500 g farina debole 200 g zucchero 50 ml olio extravergine di oliva 2 uova medie a tempertaura ambiente 1 cucchiaio di acqua di fiori di arancio 2 arance (solo la scorza) 1 pizzico sale 1 cucchiaino lievito dolci latte q.b (per la glassatura finale) PROCEDIMENTO: Montate con una frusta elettrica le uova con lo zucchero arrivando ad ottenere una consistenza spumosa. Aggiungete il sale, l’acqua ai fiori di arancio e la scorza grattugiata delle due arance, mescolando ora con una spatola in modo da non smontare il composto. Aggiungere l’olio, a filo, continuando a mescolare con delicatezza. Ed infine unite la farina e il lievito poco per volta sempre mescolando, dovrete terminare l’impasto a mano su una spianatoia per ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Create una palla, coprite con pellicola per alimenti e riponete in frigo per almeno 1 ora. Trascorso il tempo di riposo, riprendete l’impasto, ponetelo sulla spianatoia e con le mani schiacciatelo leggermente in modo da ottenere un disco piatto e dividetelo in 16 spicchi. Da ogni spicchio otterrete un cilindro rotolandolo sul piano di lavoro, a questo punto l’ho ancora diviso a metà per non avere biscotti troppo grandi (avrete due cilindri più piccoli da ogni spicchio). Ora dovete dare la caratteristica forma, partendo dal cilindro che avete appena ottenuto: con le dita pizzicate le estremità della pasta e utilizzando un tarocco fate una fessura lunga poco meno del cilindro di pasta. Spennellate ogni navetta con il latte a temperatura ambiente e cuocete in forno a 180°C per circa 20 minuti (indicativamente ogni forno è diverso). Una volta cotte fatele raffreddare su una gratella. Buon appetito!
blog su cucina tradizione ligure con incursioni in Italia e nel mondo, fotografia di cibo (food photography) e passioni di una moglie e un marito
Ciao a tutti! Oggi vi lascio una vecchia ricetta genovese, le lattughe ripiene o leitughe pinn-e (in dialetto), che mia nonna portava spesso in tavola: a Pasqua, cotte nel brodo di Cima, e il resto dell’anno, nel brodo di carne. Da questo mese in avanti siamo felicissimi di annunciarvi che faremo parte di Segui le stagioni, un gruppo di blogger che ogni mese si danno appuntamento per promuovere l’importanza della stagionalità di ciò che portiamo in tavola. Un tema per noi molto importante a cui nel nostro piccolo abbiamo sempre cercato di dare risalto, avendo la fortuna di vivere in campagna e di poterne godere i frutti per noi è importantissimo. Grazie a Miria che mi ha fatto conoscere questo progetto e ad Anna e le altre ragazze per avermi accettata nel gruppo. Dalla lista della spesa di maggio abbiamo scelto la lattuga, avevo in mente da tanto tempo la ricetta delle lattughe ripiene di nonna e, appena letta la lista, non ho resistito. Le lattughe ripiene sono una ricetta antica di origine monastica, nella versione senza carne, e di origine borghese, nella versione con carne. Un tempo molto diffuse nell’entroterra di Ponente, sono presente nei ricettari genovesi già dal Settecento. Per tradizione vengono cucinate per il giorno di Pasqua cotte nel brodo di cima per aprire un già sontuoso banchetto. Come ogni ricetta della tradizione le versioni non si contano: mia nonna le faceva senza nessun tipo di carne nel ripieno, le cuoceva nel brodo di cima ma anche di carne e le serviva come contorno alla carne stessa, quindi senza brodo. La versione più classica e antica prevede un ripieno con carne, cervella e animelle; mentre una versione più moderna prevede l’aggiunta nel ripieno di prosciutto cotto e carne o solo prosciutto cotto. Anche sulla cottura potete sbizzarrirvi! Si possono presentare in brodo come un primo, oppure cotte in tegame con poco olio e cipolla stufata e diventano un secondo oppure ancora cotte al forno sempre come secondo...quando si dice la fantasia!!! LATTUGHE RIPIENE (leitughe pinn-e) della nonna Sunti INGREDIENTI per 4 persone: 2 cespi lattuga cappuccia 250 gr pane 1 uovo grande 100 ml latte 150 gr parmigiano reggiano olio extravergine d’oliva poco aglio maggiorana fresca noce moscata sale brodo di cima o di carne q.b. PROCEDIMENTO: Preparate le lattughe, scegliendo le foglie più grandi e belle. Dopo averle lavate, sbollentatele in acqua bollente salata per pochi secondi, fate attenzione sono molto delicate è sufficiente immergerle un attimo e scolarle subito. Stendetele ad asciugare su di un canovaccio facendo attenzione a mantenere la foglia intera. Tagliate a listarelle il cuore della lattuga e fatelo appassire in padella con olio e pochissimo aglio in modo da non coprire il gusto delicato della lattuga ma esaltarlo. In una ciotola capiente mettete il pane precedentemente ammollato nel latte e strizzato, il parmigiano, la maggiorana tritata fine, la noce moscata, l’uovo ed infine il cuore della lattuga passato in padella. Amalgamate tutti gli ingredienti otterrete un composto omogeneo. Su un tagliere stendete la foglia di lattuga sbollentata, eliminate la parte più dura della costa se necessario, prelevate circa un cucchiaio di ripieno per ogni foglia, ricopritelo con la lattuga e con uno stuzzicadenti chiudete il “pacchetto”. Continuate così fino alla fine degli ingredienti. Cuocete i fagottini di lattuga pochi alla volta nel brodo di cima (va benissimo anche un brodo di carne) per pochi minuti, deve cuocere solo l’uovo del ripieno. Quindi servite caldi in brodo spolverati di abbondante parmigiano o come faceva mia nonna, senza brodo, come accompagnamento alla carne bollita. NOTE: - SECONDA VERSIONE: potete aggiungere al ripieno 100 g prosciutto cotto per dare maggior gusto. - TERZA VERSIONE: fate il ripieno diminuendo notevolmente la quantità di pane (circa 100 g) e anche di latte. Aggiungete: 200 g polpa di vitella a tocchetti, 100 g cervella a tocchetti e 50 g animelle (prima sbollentate in acqua salata e spellate) tutto rosolato per 10-15 minuti in olio e poco burro. Tritate le carni e aggiungetele al ripieno insieme ad un secondo uovo. Continuate come da ricetta. - INFINE potrete cuocere le lattughe ripiene in un tegame con solo olio e cipolla oppure in forno con aggiunta di soffritto di cipolla e pomodoro. Buon appetito! Ecco la lista della spesa di maggio: E l’elenco delle amiche blogger che aderiscono al progetto SEGUI LE STAGIONI: Alisa Secchi – Alisa design,sew and Shabby Chic Anna Marangella – Ultimissime dal forno Beatrice Rossi – Beatitudini in cucina Ely Valsecchi – Nella cucina di Ely Enrica Coccola – Coccola Time Francesca Lentis Crudo e cotto Ilaria Lussana Biologa nutrizionista Lisa Verrastro – Lismary’s Cottage Maria Martino – La mia casa nel vento Miria Onesta - Due amiche in cucina Simona Milani – Pensieri e pasticci Sisty Consu – I biscotti della zia Susy May – Coscina di pollo Per non perdere nemmeno un post seguite la pagina facebook Seguilestagioni e la bacheca Pinterest
Ciao a tutti! Eccoci al nostro appuntamento mensile con la rubrica “Fruttando”. Prepareremo insieme la SBRICIOLATA INTEGRALE CON FRAGOLE E CANNELLA, un guscio di frolla all’olio reso ancor più rustico dalla farina integrale al cui interno nasconde un goloso ripieno alle fragole. Riteniamo sia molto importante la stagionalità degli ingredienti che utilizziamo, quindi la rubrica Fruttando nasce dall’idea di cucinare con la frutta di stagione abbinandola ad un’erba aromatica spontanea oppure ad una spezia. Questo mese abbiamo scelto come protagonista delle nostre ricette, la fragola: Miria ci prepara un goloso BUDINO AL COCCO CON FRAGOLE E MENTA CIOCCOLATO, mentre Simona ci propone una profumatissima insalata di FRAGOLE ALL'ACETO BALSAMICO E MENTA. Amo molto le fragole, il sapore e soprattutto il brillante colore rosso delle fragole mature mi fa dire è primavera, sono un frutto con grandi proprietà antinfiammatorie e antiossidanti quindi un prezioso alleato per la nostra salute. La scelta migliore sarebbe quella di consumarle al naturale senza cuocerle, perchè durante la cottura si perdono alcuni importanti nutrienti ma oggi faremo un’eccezione per una torta perfetta per la colazione o per la merenda. La sbriciolata è un dolce molto apprezzato da grandi e piccini e nasce come variante della sbrisolona, un dolce tipico mantovano. Oggi ve la propongo con la mia frolla all’olio per l’occasione preparata con farina integrale e un ripieno di fragole cotte per qualche minuto prima di racchiuderle nella frolla. Ma ora andiamo in cucina a preparare insieme la nostra torta… SBRICIOLATA INTEGRALE CON FRAGOLE E CANNELLA INGREDIENTI (per una teglia 26 cm di diametro): per la frolla (per una teglia 26 cm di diametro): 250 g farina da frolla 100 g semola rimacinata di grano duro 100 g zucchero semolato 1 cucchiaino di lievito per dolci un pizzico di sale 2 uova intere 100 g olio extravergine di oliva cannella q.b per il ripieno: 300 g fragole scorza limone grattugiata 3 cucchiai di zucchero PROCEDIMENTO: Prepariamo la frolla. La particolarità di questa frolla è che si prepara con poche preoccupazioni, è necessaria una ciotola e un cucchiaio ed il gioco è fatto. In una ciotola aggiungete tutti gli ingredienti della frolla ed amalgamateli con un cucchiaio velocemente. Non impastate a lungo dovrete ottenere un composto sbriciolato. Scegliete una teglia con il fondo removibile che vi aiuterà molto quando la vostra torta sarà cotta. Prendete la teglia e foderatela di carta forno. Prendete metà impasto della frolla stendetelo bene su tutta la superficie della teglia livellandolo col dorso di un cucchiaio, facendolo salire anche sui bordi. Trasferite in frigo sia la teglia che la metà della frolla avanzata. Preparate il ripieno. Lavate ed eliminate il picciolo della fragole. Tagliatele a cubetti e trasferitele in una padella con la scorza di limone e 3 cucchiai di zucchero. Fate appassire per qualche minuto su fuoco medio mescolando spesso. Fata raffreddare. Per finire. Riprendete la frolla dal frigo. Aggiungete al guscio di frolla le fragole ormai raffreddate quindi coprite l’intera superficie con la metà di frolla sbriciolata tenuta da parte. Cuocete in forno già caldo a 180°C (forno statico) per 30-35 minuti e comunque fino a quando la torta assumerà un bel color biscotto. Servite fredda cosparsa di zucchero a velo. Buon appetito! Con la rubrica “FRUTTANDO” ci rivedremo il 21 maggio con un nuovo frutto. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook. Vi aspettiamo anche sul nostro profilo INSTAGRAM Ed infine sul nostro profilo Pinterest
Ciao a tutti! Amo la mia regione e le nostre tradizioni e, aver aperto il blog, mi ha permesso di scoprire molte ricette che altrimenti difficilmente avrei mai provato. Questo è il caso della torta di oggi, la torta baciocca. È una torta salata, la cucina ligure ne è ricca, tipica dell’entroterra della zona di Levante. Molto bella è la leggenda, o forse storia, che sta all’origine di questa torta salata. Si dice che a Santa Maria del Taro, un piccolo borgo di campagna nell'entroterra genovese quasi al confine tra la provincia di Parma e quella di Genova, molti anni fa, vivessero molte più fanciulle che giovanotti. Sembra che le ragazze fossero molto belle, e come si dice da queste parti, al loro passaggio venisse spesso pronunciata la frase "a l'è unn-a baciocca", ovvero una ragazza bella e gentile. Oltre alla bellezza sembra che queste ragazze avessero anche la capacità di cucinare molto bene soprattutto le torte salate, particolari quelle di patate e cipolle, e proprio da questo binomio le torte vennero presto chiamate anch’esse “baciocche”. Vicino al loro paese, ma al di là della collina, a Pratosopralacroce vivevano invece molti più ragazzi che ragazze. I ragazzi di Prato ben presto vennero a sapere della presenza al di là della collina di molte ragazze che, oltre ad essere belle, sapevano cucinare molto bene. E così da lì a poco si organizzarono e, con un vero e proprio ratto, dopo aver passato il ponte dei Priori che collegava Santa Maria con il resto della valle, portarono via le ragazze, per poi sposarle e farle vivere con loro. Le ragazze con sé portarono anche le loro ricette e quindi fu da quel giorno che la preparazione della baciocca lasciò il suo paese di origine, per spostarsi prima a Prato e poi in tutto il Tigullio, naturalmente come è per tutte le ricette della tradizione, andando di casa in casa la ricetta subisce piccole modifiche tanto da avere ognuno la propria versione e giurare che quella è quella originale. La particolarità unica di questa torta, che altro non è che un guscio di pasta matta, nel tempo arricchita con olio extravergine ligure, al cui interno troviamo protagoniste le patate, è la cottura che viene fatta con una campana di ghisa. Questo sistema di cottura è formato da una campana di ghisa che viene posta sopra ad una grossa lastra anch'essa di ghisa fatta scaldare dalla brace di un forno a legna. Quando la piastra ha raggiunto il calore desiderato, molto alto, vengono eliminate le braci e la piastra viene ricoperta da foglie di castagno (raccolte in estate direttamente dagli alberi e conservate legate in fasci per questo utilizzo) precedentemente bagnate in acqua bollente che faranno da letto alla torta oltre a donare particolari aromi. La torta viene poi messa su questo letto di foglie, viene coperta dalla campana e fatta cuocere senza che quest'ultima vrnga mai alzata. Dopo circa mezz’ora è pronta. Questa particolare tecnica di cottura è ancora utilizzata durante la festa della Baciocca che viene organizzata a Pratosopralacroce nel mese di luglio. Sono felice di essere riuscita a partecipare al The Recipe-thionist di questo mese, perché mi ha dato modo di arricchire il mio blog di un’altra ricetta tipicamente ligure, quindi grazie mille Giulietta per la ricetta! Non ho fatto alcuna modifica se non aumentare di poco le dosi per adeguarle alle dimensioni della mia teglia. TORTA BACIOCCA INGREDIENTI per una teglia 22 cm x 30 cm: per il ripieno: 600 g patate bianche quarantine 180 g cipolla rossa di Zerli 60 g lardo 2 uova 50 g farina 00 3 cucchiai di latte rosmarino maggiorana parmigiano sale fino sale grosso pepe olio extravergine di oliva per la sfoglia esterna: 200 g farina 0 90 g acqua 2 cucchiai di olio extravergine di oliva ligure PROCEDIMENTO: Per prima cosa prepariamo la pasta: create la fontana con la farina precedentemente setacciata, aggiungete un pizzico di sale e versatevi, poco a poco e continuando a mescolare, l'acqua e l'olio. Lavorate sino al raggiungimento di un impasto morbido ed elastico. Lasciate riposare per un'ora o anche due coperto da una ciotola sulla spianatoia. Pelate le patate e tagliatele a fettine molto sottili (pochi mm), riponetele in uno scolapasta a strati alternandole con del sale grosso. Copritele con un piatto e ponetevi sopra un peso per permettere la perdita della loro acqua. Lasciate così per almeno 30 minuti. Mettete sul fuoco una padella senza nulla all'interno. Pulite la cipolla e affettatela sottile. Appena la padella sarà calda, versatevi un filo d'olio e la cipolla affettata, cuocete a fuoco basso sino a renderla morbida. Salate. Togliete dal fuoco e mettete da parte. Create ora la pastella che avvolgerà il ripieno con le uova, la farina 00 ed il latte. Aggiungete il trito fatto con lardo, rosmarino, maggiorana. Salate e pepate. In una ciotola ampia unite alla pastella le patate precedentemente lavate ed asciugate e la cipolla stufata; Unite ancora un’abbondante spolverata di parmigiano e poco olio. Mescolate il ripieno in modo che la pastella avvolga per bene la patate. Infine coprite con carta forno la teglia dove cuocerete la torta. Stendete la sfoglia il più sottilmente possibile col mattarello poi trasferite la sfoglia sulle mani e con le nocche continuate a stenderla (come per la sfoglia della pasqualina), dovrà avere una dimensione maggiore rispetto a quelle della teglia infatti la dovrà anche ricoprire. Rivestite a questo punto la teglia lasciando abbondante margine esterno. Riempite l'involucro con il ripieno. Livellatelo bene e copritelo completamente con la sfoglia in eccedenza. Preriscaldate il forno a 180° C, cuocete per circa 40 min. Servite tiepida, ma è buona anche fredda! Note: Naturalmente vi sono diverse versioni di questa torta: vengono aggiunti funghi secchi, oppure un po' di prescinseua, o il pecorino, o ancora poche bietole. Spesso le patate vengono prima fatte bollire e pestate a crema, anche se in questo caso la consistenza cambia. Vi sono differenze anche nella sfoglia, la farina che si utilizza può essere di grano o di mais giallo ma anche di mais bianco, a volte miscelate in proporzioni diverse tra di loro. Inoltre alcune versioni prevedono anche che la torta non sia ricoperta dalla sfoglia ma abbia solo il guscio che la contiene. Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al gioco THE RECIPE-TIONIST di Flavia del blog Cuocicucidici che questo mese vedeva come recipe-tionist Giulietta del blog Se cucino...sorrido! :
Ciao a tutti! Amo il momento della colazione, dopo aver “spedito” figli e marito rispettivamente a scuola e lavoro, mi concedo un momento tutto per me. Siedo tranquilla a tavola con una tazza di tè fumante, Molly ai piedi che spera nella caduta di qualche briciola e una grande scorta di biscotti del Lagaccio e inizio bene la giornata. Oggi è il nostro primo post per una nuova rubrica “Il Granaio – Baking time”. Pani, focacce, torte rustiche e tutto quello che unisce farine di ottima qualità, lievitazione, pazienza e bontà, dallo scorso luglio in una raccolta unica! Ogni 15 giorni noi insieme a Carla, Consuelo, Simona, Sabrina e Terry, vi proporremo tutto il buono che le nostre mani impasteranno per voi, ricette che troverete non solo sui nostri blog, ma anche sulla pagina facebook della rubrica. Ricette passo-passo, dettagli degli ingredienti e del procedimento per poter replicare a casa propria un prodotto goloso e sano per tutta la famiglia e per ogni occasione. Grazie ragazze per avermi accolta nel gruppo. Ecco il nostro paniere completo:: Qui da noi: i biscotti del Lagaccio Da Carla: Bocconcini di focaccia Da Sabrina: Focaccine con uva fragola Da Consuelo: Girelle all'uvetta con lievito madre (Chelsea Buns) Da Simona: Pane alle noci (nuove) con lievito madre Da Terry: Panettone variegato di Ezio Marinato Torniamo ai nostri biscotti del Lagaccio, in realtà la tradizione vuole che vengano preparati rigorosamente con lievito madre (qui nel blog trovate una seconda versione di questi biscotti) mentre io oggi ve li propongo con lievito di birra, per i puristi sarà un piccolo sacrilegio. I biscotti del Lagaccio sono una via di mezzo tra il pane (in casa mia si sono sempre chiamati Biscotti di pane) e le fette biscottate, potremmo dire che sono una grossa e spessa fetta biscottata poco dolce! Il loro nome deriva da quello di un quartiere genovese, il Lagaccio appunto, dove vennero fatti per la prima volta in un antico forno vicino a un bacino artificiale apostrofato "Lagaccio" dai cittadini, nel 1593. Il lago artificiale costruito per volere di Andrea Doria, si trovava sulle alture di Genova e serviva in origine per la provvista della flotta e per approvvigionare di acqua il suo palazzo. In un secondo tempo, circa un secolo dopo, servì ad alimentare le fabbriche di polvere da sparo che l’antica Repubblica Genovese decise di costruire in quel luogo. Ancora oggi esiste il quartiere del Lagaccio, esattamente dove si trovava nel 1550, anche se il lago non esiste più. Oggi i biscotti del Lagaccio vengono prodotti da diverse industrie dolciarie in Liguria (a Genova: Panarello, Grondona, Preti per ricordarne alcune), oltre che in tutti i forni della città e in Piemonte, nella zona di Ovada. BISCOTTI DEL LAGACCIO con lievito di birra (Bescheutti do Lagasso) INGREDIENTI: Per la biga: 200 g farina tipo 1 forte (W320) 100 g acqua 2 g lievito di birra disidratato Impasto: la biga 500 g farina tipo 1 media forza (W 270) 200 g zucchero 200 g acqua 150 burro morbido 3 cucchiai liquore sambuca (o 4 g semi anice) 2 g sale 2 g lievito di birra disidratato PROCEDIMENTO: La sera prima impastate per pochi minuti la biga. In una ciotola mettete la farina, aggiungete l’acqua (fredda) in cui avrete fatto sciogliere il lievito. Impastate velocemente e brevemente, avrete un risultato non omogeneo, un po’ a briciole. Ponete in una ciotola, coprite con pellicola e lasciate fermentare ad una temperatura di 24°C per un tempo di 8-12 ore. Quando la biga sarà arrivata a maturazione potrete procedere con l’impasto. Nella ciotola dell’impastatrice mettete la biga, l’acqua (solo 150 g, gli ultimi 50 g teneteli da parte ed uniteli solo se necessari), la farina, lo zucchero e il liquore (o i semi di anice). Impastate fino a raggiungere l’incordatura quindi aggiungete il sale e il burro a pezzettini piccoli pochi alla volta. Dovrete ottenere un impasto liscio ed omogeneo, ben incordato, a questo punto trasferitelo in una ciotola dopo avergli dato una forma sferica e lasciatelo puntare per un’ora. Quindi dividete l’impasto in tre parti e formate tre filoni, disponeteli su di una teglia coperta di carta forno e lasciateli lievitare fino al raddoppio al riparo da correnti. Cuoceteli in forno già caldo a 180°C fino a completa cottura. Trasferiteli su un gratella e lasciateli raffreddare completamente. Il giorno successivo (lasciate riposare una notte i biscotti prima di tostarli) tagliate a fette oblique di circa 2 cm, disponetele su una teglia e fatele tostare fino a doratura in forno caldo a 180°C. Conservare in una scatola di latta, durano molto tempo, se non li mangiate tutti prima! NOTE: - la tradizione vuole che i biscotti del Lagaccio vengano preparati con lievito madre, se volete provare è sufficiente sostituire la biga con 150 g di pasta madre rinfrescata e seguite il resto della ricetta eliminando del tutto il lievito di birra. - potrete preparare i biscotti del Lagaccio anche con solo olio extravergine di oliva (per me li preparo sempre solo con olio extravergine) utilizzandone 120 g e aggiungendo 30 g di acqua al totale. - infine per quanto riguarda gli aromi, normalmente si trovano aromatizzati con vaniglia. La mia versione alla sambuca (o anice) mi ricorda le colazioni di quando ero bambina, sono i miei biscotti del Lagaccio! Buon appettito! Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage (https://www.facebook.com/Fotocibiamo-228513900683818) di Facebook.
Ciao a tutti! Con la ricetta di oggi torno bambina. Ricordo che quando si andava a trovare la nonna, per merenda ci offriva pane e zucchero, oppure pane e olio, oppure un dolce Chiffaro. Il Chiffaro o Chiffero era una briosche molto semplice senza alcuna farcitura e con poco burro che si comprava di solito in latteria o anche dal fornaio. Parliamo degli anni ’70...oggi questi stessi cornetti si riescono a trovare solo dalla Pasticceria Tagliafico che ancora li produce, ormai le latterie sono quasi scomparse e nei bar si trovano solo i croissant più semplici perché vengono acquistati surgelati e semplicemente cotti. Forse alcuni forni li producono ancora ma li chiamano semplicemente brioches come nell'Antico forno della Casana...Ivan richiamali col loro nome originale! Così la nostalgia rimane... Poi capita che due amiche Valentina e Ilaria, abbiano l’idea di scrivere un libro sui lievitati liguri e che al suo interno inseriscano la ricetta di questi meravigliosi antichi cornetti. Non immaginate che emozione, ho ritrovato i sapori di un tempo. Vi consiglio di far come me e correre in libreria ad acquistare il loro libro... Ilaria Fioravanti e Valentina Venuti “ Lievitati di Liguria dolci&salati” SAGEP editori Conosco Valentina da diversi anni e la sua passione per l’arte bianca e inferiore solo al grande impegno che mette in ogni cosa che fa. Non conosco personalmente Ilaria, ma conosco i suoi precedenti libri e credo che parlino da soli. Quindi cosa aspettate...oggi oltre alla ricetta vi ho dato l’idea per un perfetto regalo di Natale... Tornando al Chiffaro...non so quale sia il nome corretto, o meglio credo che il nome corretto sia Chiffero, ma il cuore mi impone di chiamarlo Chiffaro come faceva mia nonna! L’origine del nome è incerta, forse dal Kipferl, che sono brioches austriache dolci o salate a forma di mezzaluna o forse deriva da ancora più lontano da un dolcetto turco chiamato “Kourabies” chissà...sta di fatto che in Liguria non è l’unico dolce con quel nome basti pensare ai chifferi di Finale Ligure. CHIFFERI o CHIFFARI ricetta tratta dal libro I.Fioravanti e V.Venuti "Lievitati di Liguria" ed. SAGEP INGREDIENTI: 500 g farina 00 W 300-320 Farina tipo 1 W 320 15 g lievito di birra fresco 200 g latte intero o panna liquida fresca 1 cucchiaino di miele millefiori 80 g zucchero semolato 3 tuorli 1 uovo intero 150 g burro a temperatura ambiente 4 g sale semi bacca vaniglia buccia grattugiata arancia Per completare: 130 g zucchero a velo 30 g succo di arancia PROCEDIMENTO: Iniziate preparando un lievitino. In una piccola ciotola sciogliete il lievito e il miele in 100 g di latte presi dal totale, aggiungete ora 100 g di farina sempre presi dal totale, mescolate velocemente, coprite con pellicola e lasciate lievitare al caldo fino a quando sulla superficie si presenteranno delle piccole bolle, circa 40 minuti, segno che il lievitino è pronto. Ora nella ciotola dell’impastatrice mettete il lievitino e il resto della farina. Aggiungete poco alla volta lo zucchero, il latte e le uova. Unite ora il burro a pezzetti: aggiungete un pezzetto alla volta ed aggiungete il successivo solo dopo che il precedente è stato assorbito dall’impasto. Per ultimi aggiungete il sale e la buccia d’arancia. Continuate ad impastare, ci vorranno una quindicina di minuti per avere un impasto liscio, elastico e perfettamente staccato dalla pareti, indice che si è raggiunta una perfetta incordatura. Trasferite l’impasto in una ciotola dopo averlo raccolto a palla, coprite e fate lievitare fino al raddoppio in luogo caldo. Su una spianatoia infarinata stendete l’impasto in un disco di circa 35 cm di diametro, dividetelo in 12 spicchi, fate un taglietto alla base di ogni triangolo, tirate leggermente la punta verso l’esterno ed iniziate ad arrotolare dalla base fino alla punta per formare il chiffero. Trasferite ogni chiffero su una teglia rivestita di carta forno facendo attenzione che la chiusura rimanga sotto (altrimenti in cottura rischiano di aprirsi) e fate lievitare per un'ultima volta fino al raddoppio. Infornate in forno caldo a 180°C fino a doratura. In una piccola ciotola mescolate lo zucchero con il succo di arancia per creare la glassa non troppo fluida che andrete a colare sui chifferi ormai freddi. Oppure come ho fatto io spolverateli di zucchero a velo. Buon appetito!
Ciao a tutti! Adoro il pane...pensarlo...preparare gli ingredienti...impastarlo... adoro l’attesa durante la lievitazione con quel po’ di brivido per l’incertezza che tutto avvenga nel migliore dei modi... Vederlo crescere minuto dopo minuto, significa sentire la propria soddisfazione crescere con lui...insomma una sorta di magia che ogni volta si ripete...sembra impossibile come basta variare di poco i soliti ingredienti...acqua, farina, lievito...o la metodologia di preparazione e si finisce con l’ottenere un risultato sempre diverso...una vera magia... E quindi vista questa mia voglia di imparare il più possibile su questa magia e un Pupetto scalpitante nel frigo...non potevo non partecipare al contest del blog “Cucina semplicemente” in collaborazione con le farina Antiqua che prevede l’uso della farina Antiqua macinata a pietra di tipo 2. Grazie alla macinatura a pietra, la farina Antiqua conserva tutti gli elementi nutrizionali del grano grazie alla presenza della crusca e del germe contenuti nello strato proteico del chicco che aderisce alla crusca. I grani utilizzati provengono da 45 aziende agricole riunite in un consorzio di garanzia che seleziona solo terreni lontani da zone industriali, centri abitati e autostrade nel rispetto di un disciplinare di produzione per poter così ottenere grani a residuo zero. La particolarità e l’unicità delle Farine Antiqua si colgono all’apertura del sacco: la farina ha un profumo di grano inconfondibile, risulta finissima e leggermente ambrata. Durante la lavorazione l’impasto risulta color nocciola, ha un’ottima capacità di assorbire i liquidi e un profumo intenso. Nella cottura il prodotto ottenuto con la Farina Antiqua si distingue per la colorazione brunita della crosta e della mollica. Per la nostra prima ricetta ho pensato ad una ricetta di Emmanuel Hadjiandreou, il pane di polenta, nella quale ho modificato qualcosina tra cui la quantità di lievito madre che mi sembrava un po’ eccessiva. Il risultato è un pane rustico, di colore tendente al giallo per la presenza della polenta e con una crosta scura molto croccante. Perfetto per spalmarci al mattino la marmellata durante la colazione ma anche per accompagnare un pasto...inoltre ha anche una discreta durata, si conserva perfettamente per 6 giorni (oltre, la mia sperimentazione, non è arrivata!!!). PANE DI POLENTA INGREDIENTI: 300 g farina Antiqua tipo 2 150 g polenta cotta (da circa 50 g farina di polenta) 150 g lievito madre rinfrescato la sera precedente 180 ml acqua tiepida 20 g olio extravergine di oliva 8 g sale altra farina di mais per la finitura PROCEDIMENTO: Preparare la polenta con circa 50 g di farina di mais. Quando la polenta sarà cotta e ancora calda mettetene 150 g in una ciotola, unite l’acqua e mescolate. A questo composto unite il levito madre spezzettato e lavoratelo per farlo ben amalgamare, unite l’olio continuando a mescolare. A questo punto unite la farina e il sale, mescolate fino ad avere un impasto formato ma non ancora omogeneo. Coprite la ciotola in cui state lavorando e lasciate riposare l’impasto 15 minuti. Trascorso il tempo di riposo riprendete l’impasto e date 4 giri completi di pieghe tipo stretch and fold a distanza di 15 mninuti tra un giro completo l’altro, cioè pizzicate una parte di impasto con una mano tiratela verso l’esterno e riportatela al centro dell’impasto, ruotate leggermente la ciotola e ripetete l’operazione, ruotate ancora e ripetete, fate questo movimento tante volte necessarie a completare il giro. Lasciate riposare 15 minuti e ricominciate. Finiti tutti i giri di pieghe lasciate riposare l’impasto coperto per 1 ora. Spolverate la spianatoia con farina di polenta, versateci l’impasto, date una forma rotonda, spolverate ancora di abbondante farina di polenta e mettete a lievitare in un cestino da lievitazione anch’esso spolverato con abbondante farina di polenta (o in un colapasta coperto da un canovaccio pulito e spolverato di farina di polenta). Fate lievitare l’impasto fino al raddoppio, a me ci sono volute 6 ore. Fate scaldare il forno con la pietra refrattaria a 240°C. Quando il pane ha raggiunto il raddoppio di volume, rovesciatelo con delicatezza su una pala per il pane (se non utilizzate la pietra refrattaria potete mettere il pane direttamente su una teglia). Con una lametta incidete la superficie del pane con delle linee parallele. Infornate facendolo scivolare dalla pala direttamente sulla pietra, e versate dell’acqua su una teglia vuota lasciata sul fondo del forno per aumentare l’umidità. Abbassate la temperatura a 220°C e lasciate cuocere per 30 minuti, attenzione a che non dori troppo la superficie. Continuate poi la cottura ancora 5 minuti ma con lo sportello del forno leggermente aperto (tenetelo aperto ad esempio inserendo un mestolo nell'apertura) in modo che il pane asciughi perfettamente. Lasciate raffreddare completamente il pane su una gratella. Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al contest indetto da “Cucina Semplicemente” in collaborazione con Farina Antiqua macinata a pietra:
blog su cucina tradizione ligure con incursioni in Italia e nel mondo, fotografia di cibo (food photography) e passioni di una moglie e un marito
Ciao a tutti! Per il primo appuntamento di questo nuovo anno con la rubrica Segui le stagioni, abbiamo scelto come ingrediente la zucca e continuiamo a giocare in casa con i Barbagiuai, tipica ricetta ligure della Val Nervia, entroterra di Ventimiglia. I Barbagiuai sono ravioli fritti ripieni di zucca, riso e brusso. Il brusso è una ricotta di pecora fermentata prodotta dai comuni montani della provincia di Imperia. Proprio il contrasto tra il dolce della zucca e il gusto deciso del brusso caratterizza questi ravioli. Purtroppo non sono riuscita a trovare il brusso dalle mie parti, così l’ho sostituito con la prescinseua che ha sicuramente un gusto meno deciso ma mantiene un leggero sentore acido che ben contrasta col dolce della zucca. Il loro particolare nome è legato ad una leggenda popolare che indica come inventore di questa ricetta un certo zio Giovanni, traducendo in dialetto zio = barba, Giovanni = Giuà si ottiene proprio Barbagiuai. Se avete occasione in settembre di andare a Camporosso potrete assaggiare i barbagiuai durante una sagra a loro dedicata. BARBAGIAUI Ricetta originale dalla nostra amica Fausta INGREDIENTI: per la sfoglia: 200 g farina acqua q.b. 3 cucchiai olio extravergine di oliva sale per il ripieno: 400 g zucca al netto degli scarti 150 g prescinseua (o ½ cucchiaio di brusso) 50 g riso un uovo 3 cucchiai di parmigiano reggiano 1 spicchio aglio maggiorana fresca olio extravergine di oliva q.b. per la frittura: olio extravergine di oliva PROCEDIMENTO: Con molto anticipo preparate la sfoglia in modo che possa riposare. Non ho volutamente inserito la quantità d’acqua, dovrete regolarvi voi per ottenere un impasto facile da lavorare. Lavorate a lungo fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo che dovrete coprire e lasciare riposare almeno un’ora ma anche di più. Lessate il riso in acqua salata lasciandolo al dente e fate raffreddare. Ponete lo "spicchio" di zucca, mantenendo la sua buccia, in una teglia dai bordi alti e fatela cuocere in forno a 180°C o anche in microonde fino a che la polpa non sarà morbida. A quel punto la polpa si staccherà facilmente dalla buccia utilizzando un cucchiaio. Passate la polpa in padella con olio extravergine di oliva e l’aglio, in modo da eliminare eventuali residui di acqua. Fate raffreddare. In una ciotola unite la polpa di zucca, la prescinseua, l’uovo, il parmigiano, la maggiorana tritata ed il riso. Mescolate e aggiustate di sale. Riprendete la sfoglia, stendetela molto sottile. Tagliate dei dischi, ponete al centro un po’ di ripieno e richiudete formando una mezzaluna (tipica forma dei barbagiuai). Sigillate bene i bordi aiutando con i rebbi di una forchetta. Friggete in olio profondo ben caldo, scolateli su carta da cucina e serviteli caldi. Note: Esistono altre versioni dei barbagiuai, ad esempio con i fagioli di Pigna oppure con verdure come le bietole o la borragine. Buon appetito! Vi lascio la lista della spesa del mese di gennaio... Ed infine ecco le nostre amiche da cui potrete trovare altre idee rigorosamente di stagione!!! Lisa Verrastro – Lismary’s Cottage Alisa Secchi – Alisa design,sew and Shabby Chic Enrica Coccola – Coccola Time Beatrice Rossi – Beatitudini in cucina Sisty Consu – I biscotti della zia Simona Milani – Pensieri e pasticci Maria Martino – La mia casa nel vento Anna Marangella – Ultimissime dal forno Susy May – Coscina di pollo Ely Valsecchi – Nella cucina di Ely Francesca Lentis – Crudo e cotto Ilaria Lussana - Biologa nutrizionista Miria Onesta - Due amiche in cucina Ilaria Talimani – Soffici blog Per non perdere nemmeno un post seguite la pagina di Seguilestagioni oppure la nostra bacheca Pinterest. Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
Ciao a tutti! Oggi prepariamo insieme gli SFORMATINI DI RICOTTA E PRESCINSEUA CON UVETTA PROFUMATI AL ROSOLIO per il nostro appuntamento con la rubrica de “Al km 0” che ha per tema “Sformati e tortini fumanti”. Il tema di questo nostro secondo appuntamento di febbraio con la rubrica “Al Km 0” sono gli sformati o flan. Non ne avevo mai preparato, o meglio avevo utilizzato quel nome per preparazioni che poco avevano a che fare con un flan. E se proprio devo dire la verità, anche con questa ricetta temo di aver fatto un errore. Infatti lo sformato o flan ha la caratteristica di essere cotto a bagnomaria....ed io l’ho dimenticato. Ho fatto una semplice cottura in forno statico, senza bagnomaria. Per quanto riguarda gli ingredienti: avevo deciso di non utilizzare solo ricotta ma accompagnarla in egual quantità con la nostra prescinseua, poi ho aggiunto l’uvetta ammollata in abbondante rosolio. Il rosolio è il liquore alle rose, a Natale ne abbiamo ricevuto in dono una bottiglietta preparato dalla sorella del fotografo, si prepara dopo la macerazione dei petali di rosa in alcool con l’aggiunta di acqua e zucchero. Ha una consistenza molto viscosa, e il suo nome ricorda proprio questa sua caratteristica. Vediamo come fare insieme... SFORMATINI DI RICOTTA E PRESCINSEUA CON UVETTA PROFUMATI AL ROSOLIO Trovate la ricetta originale qui. INGREDIENTI (per una teglia 20x20 cm): 250 g ricotta 250 g prescinseua 120 g zucchero 90 g uvetta 20 g maizena (amido di mais) 10 cl rosolio 2 uova scorza grattugiata di un limone sale PROCEDIMENTO: In una ciotola unite l’uvetta al rosolio e lasciatela in ammollo per almeno mezz’ora. Montate con le fruste elettriche i tuorli d’uovo con metà zucchero, quando saranno ben montati e spumosi unite la ricotta e la prescinseua mescolando con un cucchiaio. Unite la scorza di limone e la maizena setacciata sempre mescolando. Infine scolate l’uvetta ed unitela al composto. Mescolate delicatamente. Montate a neve ben ferma gli albumi con un pizzico di sale quindi uniteli al composto di ricotta e prescinseua mescolando con una spatola dal basso verso l’alto, fate attenzione a non smontare il tutto. Imburrate ed infarinate una teglia unica o stampini monoporzione, coprite il fondo di ogni stampo con un tondo di carta forno. Versate il composto nello stampo, livellatelo quindi cuocetelo in forno statico già caldo a 180°C per circa 40 minuti (25-30 minuti se fate stampi monoporzione). La superficie dovrà colorarsi. Fate la prova stecchino, sono cotti quando lo stecchino rimane asciutto. Sfornate e lasciate raffreddare gli sformatini negli stampi. Serviteli freddi se volete accompagnati con confettura, cioccolato o semplice zucchero a velo. Buon appetito! Scopriamo ora insieme tutte le proposte de Al km 0 per il tema “Sformati e tortini fumanti”: Colazione qui da noi: Sformatini di ricotta e priscinseua con uvetta e rosolio Pranzo da Simona: Sformatini di polenta con cuore morbido e porcini al pomodoro Merenda da Sabrina: Sformatini alle mele con crema al caramello Cena da Carla: Timballini di orata con pomodori secchi e olive Seguiteci sulla pagina facebook de Al Km 0 se vorrete essere sempre aggiornati su ogni uscita. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
blog su cucina tradizione ligure con incursioni in Italia e nel mondo, fotografia di cibo (food photography) e passioni di una moglie e un marito
Ciao a tutti! Oggi vi racconto di un classico della cucina ligure, la torta di cipolle. Con questa nostra ricetta partecipiamo all’appuntamento mensile con Segui le stagioni, la rubrica che insieme ad un gruppo di amiche blogger curiamo ogni mese con l’obiettivo di far capire l’importanza di utilizzare sempre e solo prodotti di stagione. Come ogni ricetta della tradizione le versioni non si contano, è una preparazione di origine contadina e quindi molto economica. Sempre presente nelle vecchie friggitorie di Sottoripa insieme ad altri capisaldi della nostra cucina come la torta Pasqualina, la torta Cappuccina, la torta di zucca, la Baciocca, la frandura o le varie frittate. Come vi dicevo le versioni non si contano, noi la prepariamo con la prescinsêua, sostituita dalla ricotta se non riuscite a trovare la tipica cagliata ligure, e poco altro; altre versioni prevedono l’utilizzo di solo parmigiano e non mettono uova nel ripieno; altri ancora aggiungono gli immancabili funghi secchi. Insomma avrete un’ampia scelta a seconda di quello che preferite. TORTA DI CIPOLLE INGREDIENTI per una teglia di 32 cm di diametro: per la pasta matta: 200 g farina forte 20 ml olio extravergine di oliva + altro per le sfoglie acqua q.b. sale q.b. per il ripieno: 1 kg cipolle 100 ml latte 300 g prescinsêua (o ricotta) 100 g parmigiano reggiano 4 uova medie sale e noce moscata q.b. PROCEDIMENTO: Preparate la pasta con molto anticipo, anche la mattina per poi preparare la torta nel pomeriggio, questo permetterà di far maturare l’impasto e riuscirete a stenderlo in sfoglie molto sottili con più facilità. Per lo stesso motivo è importante utilizzare una farina abbastanza forte e quindi ricca di glutine. Impastate la farina con acqua, olio e sale (qui potete sostituire una parte di acqua con del vino bianco) fino ad ottenere una pasta morbida ma non appiccicosa. Dividete l’impasto in 4 palline uguali e lasciate riposare almeno 2 ore coperte con un canovaccio o una ciotola rovesciata (se la preparate con tanto anticipo, copritela con pellicola e conservatela in frigo). Preparate il ripieno. Pulite le cipolle e tagliatele a fettine molto sottili. In una padella scaldate qualche cucchiaio di olio extravergine di oliva quindi aggiungete le cipolle. Lasciatele stufare fino a che saranno morbide quindi aggiungete il latte e terminate la cottura. Aggiustate di sale. Ci vorranno circa 25 – 30 minuti. Tenete da parte. In una ciotola mescolate le uova, il parmigiano e la prescinsêua e aggiungete le cipolle stufate. Aggiustate di sale e aromatizzate con abbondante noce moscata. Ora stendete le sfoglie. Tirate ogni pezzetto di pasta in una sfoglia molto sottile col matterello e per renderle ancora più sottile rovesciatele sui vostri pugni e tiratele da ogni parte. L’utilizzo di una farina forte ricca di glutine vi sarà di aiuto per avere sfoglie estremamente sottili. Mettete una sfoglia appena tirata nella teglia unta di olio (oppure ricoperta di carta forno) ricoprendo anche bene i bordi e senza per ora eliminarne l’eccesso di pasta. Ungetela su tutta la superficie e sovrapponete un’altra sfoglia. Sulla seconda sfoglia distribuite il composto di cipolle livellandolo per bene, coprendo tutta la superficie. Ora coprite con le altre 2 sfoglie che dovranno anch’esse essere tirate estremamente sottili. Sovrapponete la prima sfoglia alla torta, ungete bene la superficie e sovrapponete la seconda. Tagliate ora la pasta in eccesso lungo i bordi leggermente più abbondante della teglia e richiudendo la pasta su se stessa formate un cordone tutto intorno. Oliate tutta la superficie. Infornate in forno già caldo a 180°C per 35-40 minuti. Note: 1° variante. Secondo la “Cuciniera genovese” di G.B. e G. Ratto: le cipolle vanno fatte sbollentare quindi rosolate in padella con olio extravergine di oliva e 150 g di funghi secchi tritati (precedentemente fatti ammollare in acqua tiepida quindi strizzati). Cuocete per circa mezz’ora quindi aggiungete 150 g parmigiano reggiano, regolate di sale e pepe, mescolate. Poi continuate la ricetta come vi ho spiegato precedentemente. 2° variante. Dal “codice della cucina ligure”: per il ripieno non viene utilizzata la prescinsêua ma solo cipolle stufate con aggiunta del latte, uova e parmigiano. Buon appetito! Vi lascio la lista della spesa del mese di marzo da cui noi abbiamo scelto le cipolle... Ed infine ecco le nostre amiche da cui potrete trovare altre idee rigorosamente di stagione!!! Lisa Verrastro – Lismary’s Cottage Alisa Secchi – Alisa design,sew and Shabby Chic Enrica Coccola – Coccola Time Beatrice Rossi – Beatitudini in cucina Sisty Consu – I biscotti della zia Simona Milani – Pensieri e pasticci Maria Martino – La mia casa nel vento Anna Marangella – Ultimissime dal forno Susy May – Coscina di pollo Ely Valsecchi – Nella cucina di Ely Francesca Lentis – Crudo e cotto Ilaria Lussana - Biologa nutrizionista Miria Onesta - Due amiche in cucina Ilaria Talimani – Soffici blog Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage di Facebook.
Ciao a tutti! In Liguria ma anche nella vicina Provenza col termine, di derivazione araba, Buridda si indica una zuppa di pesce tagliato a pezzi piccoli preparato in umido con piccole aggiunte di ingredienti diversi a seconda della zona in cui ci troviamo ma anche della stagione in cui siamo. Come tutti i piatti della tradizione nel corso degli anni ha subito molte trasformazioni. Così a fianco della buridda classica troviamo le varianti mono-specie in cui vengono utilizzati solo stoccafisso o solo seppie. A seconda della stagione troveremo insieme al pesce i piselli oppure i carciofi tagliati a fettine sottili. Naturalmente anche gli aromi con cui viene preparata cambiano notevolmente a seconda del gusto e della tradizione, in casa mia, ad esempio, si preferisce una buridda più semplice senza l’aggiunta di acciughe, pinoli, olive e capperi che invece sono tipici di questo piatto. Non è certo un piatto tipicamente ligure, nelle zone costiere di tutta Italia si trovano diverse versioni di questo piatto semplicemente indicato col nome di seppie in umido. È la perfetta unione del mare con la terra, il poco pesce che i pescatori conservavano per le proprie famiglie veniva esaltato seguendo, per forza di cose, la stagionalità degli ingredienti con i tipici sapori della terra. BURIDDA DI SEPPIE CON PISELLI....di casa mia INGREDIENTI per 4 persone: 800 g seppie al netto degli scarti (io ho utilizzato seppioline) 500 g piselli già sgranati 400 g passata di pomodoro 3 patate medie ½ bicchiere vino bianco 1 cipolla piccola ½ spicchio aglio prezzemolo olio extravergine di oliva sale q.b. peperoncino piccante q.b. in più: fette di pane tostato PROCEDIMENTO: L’ideale per la cottura di questa preparazione è l’utilizzo di un tegame di terracotta. Pulite le seppie: estraete l’osso facendolo uscire dall’apertura che si trova tra la sacca e i tentacoli. Separate il corpo dai tentacoli semplicemente afferrando con una mano la sacca e con l’altra la testa e tirando. In questo modo verranno fuori anche i visceri e la sacca dell’inchiostro. Tagliate via con un coltello questa parte dai tentacoli (se riuscite ad estrarla integra potete conservare in frigo la sacca dell’inchiostro per due giorni). Infine eliminate la pelle dal corpo. Eliminate eventuali residui sotto l’acqua e tagliate le seppie a striscioline. Tenete da parte. Preparate ora il soffritto, tritando la cipolla finemente, e a parte anche aglio e prezzemolo. Fate appassire in poco olio extravergine di oliva la cipolla fino a quando sarà trasparente quindi unite il trito di aglio e prezzemolo. Unite le seppie già tagliate. Fatele scottare e alzando la fiamma, fate evaporare il liquido che formeranno durante la cottura. Sfumate ora col vino bianco e quando sarà evaporato, aggiungete la passata di pomodoro. Fate cuocere per una ventina di minuti quindi aggiungete le patate tagliate a tocchetti e dopo qualche minuto anche i piselli. Portate a cottura ci vorranno altri 20-25 minuti, quindi aggiustate di sale e aggiungete una leggerissima spolverata di peperoncino piccante. Servite caldo con fette di pane abbrustolito. NOTE: - Volendo rimanere più fedeli alla tradizione dovrete aggiungere agli ingredienti: 1 cucchiaio di capperi dissalati 30 g pinoli oppure anche olive verdi 4 acciughe salate Tritate i sapori e soffriggeteli aggiungendo un battuto di prezzemolo, capperi, olive verdi, acciughe. Se opterete anche per i pinoli, aggiungeteli interi senza tritarli. - Altra variante, nel soffritto potrete aggiungere funghi secchi (circa 30 g) che andranno ammollati in acqua tiepida, strizzati, tritati ed aggiunti al soffritto. - Infine, in realtà al posto della passata di pomodoro da me utilizzata andrebbe usato il concentrato di pomodoro, circa 1 cucchiaio. Oppure in una versione bianca si usa un pomodoro maturo privato della buccia e tagliato a tocchetti. - E non dimentichiamoci che in inverno i piselli vengono sostituiti dai carciofi tagliati a fettine sottili. Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti per la Giornata Nazionale delle Seppie con i Piselli.
Ciao a tutti! Eccoci al nostro appuntamento con la rubrica, “Alla mensa coi Santi”. Oggi prepareremo insieme il Torcolo di castagne in onore di san Francesco d’Assisi, proclamato, insieme a Santa Caterina da Siena, patrono d’Italia. In questa nostra uscita abbiamo deciso di scegliere tre ricette umbre legate allo stesso Santo. Per questo mese abbiamo scelto di dedicare l’uscita interamente a San Francesco d’Assisi. Troverete qui da noi il torcolo di castagne, un dolce con farina di castagne preparato a Sant’Urbano di Narni. Da Miria troverete i Mostaccioli, dei dolcetti che Francesco mangiava a Roma da una sua cara amica Jacopa. Infine da Simona troverete la pagnotta di San Francesco, un semplice dolce medioevale preparato in occasione delle principali ricorrenze religiose nei mesi freddi. Sono molto legata a San Francesco fin da ragazza, ho avuto l’occasione varie volte di visitare i luoghi che sono stati teatro della sua vita; tutti luoghi ricchi di pace, amore, poesia come il piccolo e suggestivo convento del Sacro Speco che si trova a Narni. Nel 1213 Francesco, giunto in questo piccolo eremo, si ammalò gravemente. Durante questo periodo avvennero due miracoli, il primo quando debilitato dalla malattia chiese del vino, i monaci gli portarono l’acqua del pozzo, non avendo il vino, quando gliela consegnarono Francesco la benedisse e l’acqua si trasformò in ottimo vino. Dopo averla bevuta Francesco guarì immediatamente. Quando qualche tempo dopo ancora debilitato dalla malattia Francesco lasciò il convento, doveva camminare aiutandosi con un bastone di castagno. Mentre si allontanava dall’eremo si voltò un’ultima volta ad ammirare quei luoghi di pace, si chinò e piantò il bastone a terra. Col tempo il bastone iniziò a germogliare e divenne un castagno secolare che ancora oggi si può ammirare in questi luoghi. Proprio a questo episodio è legata la ricetta del Torcolo di castagne, sono gli abitanti di Sant’Ubaldo di Narni che ogni anno il 4 ottobre per rendere omaggio al Santo Patrono d’Italia la preparano per poi recarsi al piccolo Eremo e riunirsi in preghiera con i frati del piccolo Convento Francescano. Non aspettatevi una torta soffice, il torcolo è una ricetta rustica, molto gustosa e profumata per la presenza della farina di castagne e della frutta secca che la arricchisce. TORCOLO DI CASTAGNE Ricetta liberamente tratta dall’originale di Chiara del blog “Le Cerase e i Mostaccioli” INGREDIENTI (per uno stampo a ciambella 20-22 cm): 150 g farina d castagne 150 g farina integrale 60 g gherigli di noci 60 40 g uvetta sultanina 40 20 g pinoli 200 50 ml olio extravergine di oliva 3 uova 260 180 g miele millefiori 50 ml latte 1 bustina di lievito per dolci un pizzico di sale per finire: gherigli di noce q.b. pinoli q.b. PROCEDIMENTO: Nella ciotola dell’impastatrice munita di frusta montate le uova con il miele, dovrete ottenere una consistenza spumosa. Setacciate la farina di castagne, unitela alla farina integrale, al lievito ed al pizzico di sale quindi unite il tutto al composto di uova e miele. Con una spatola unite i due composti. Unite ora il latte, le noci tritate grossolanamente, l’uvetta, i pinoli ed infine l’olio. Continuate a mescolare con la spatola fino ad avere un composto ben amalgamato. Ungete ed infarinate uno stampo a ciambella con cerniera apribile di 20-22 cm. Versate l’impasto nello stampo livellandolo con una spatola, decorate la superficie con qualche gheriglio di noce e qualche pinoli. Infornate in forno già caldo a 180°C e cuocete per circa 30 minuti, prima di sfornare fate la prova stecchino. Fate raffreddare su una gratella prima di servire. Buon appetito! Con la rubrica “Alla mensa coi Santi” ci rivedremo il primo di novembre. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Amo il momento della colazione, dopo aver “spedito” figli e marito rispettivamente a scuola e lavoro, mi concedo un momento tutto per me. Siedo tranquilla a tavola con una tazza di tè fumante, Molly ai piedi che spera nella caduta di qualche briciola e una grande scorta di biscotti del Lagaccio e inizio bene la giornata. Oggi è il nostro primo post per una nuova rubrica “Il Granaio – Baking time”. Pani, focacce, torte rustiche e tutto quello che unisce farine di ottima qualità, lievitazione, pazienza e bontà, dallo scorso luglio in una raccolta unica! Ogni 15 giorni noi insieme a Carla, Consuelo, Simona, Sabrina e Terry, vi proporremo tutto il buono che le nostre mani impasteranno per voi, ricette che troverete non solo sui nostri blog, ma anche sulla pagina facebook della rubrica. Ricette passo-passo, dettagli degli ingredienti e del procedimento per poter replicare a casa propria un prodotto goloso e sano per tutta la famiglia e per ogni occasione. Grazie ragazze per avermi accolta nel gruppo. Ecco il nostro paniere completo:: Qui da noi: i biscotti del Lagaccio Da Carla: Bocconcini di focaccia Da Sabrina: Focaccine con uva fragola Da Consuelo: Girelle all'uvetta con lievito madre (Chelsea Buns) Da Simona: Pane alle noci (nuove) con lievito madre Da Terry: Panettone variegato di Ezio Marinato Torniamo ai nostri biscotti del Lagaccio, in realtà la tradizione vuole che vengano preparati rigorosamente con lievito madre (qui nel blog trovate una seconda versione di questi biscotti) mentre io oggi ve li propongo con lievito di birra, per i puristi sarà un piccolo sacrilegio. I biscotti del Lagaccio sono una via di mezzo tra il pane (in casa mia si sono sempre chiamati Biscotti di pane) e le fette biscottate, potremmo dire che sono una grossa e spessa fetta biscottata poco dolce! Il loro nome deriva da quello di un quartiere genovese, il Lagaccio appunto, dove vennero fatti per la prima volta in un antico forno vicino a un bacino artificiale apostrofato "Lagaccio" dai cittadini, nel 1593. Il lago artificiale costruito per volere di Andrea Doria, si trovava sulle alture di Genova e serviva in origine per la provvista della flotta e per approvvigionare di acqua il suo palazzo. In un secondo tempo, circa un secolo dopo, servì ad alimentare le fabbriche di polvere da sparo che l’antica Repubblica Genovese decise di costruire in quel luogo. Ancora oggi esiste il quartiere del Lagaccio, esattamente dove si trovava nel 1550, anche se il lago non esiste più. Oggi i biscotti del Lagaccio vengono prodotti da diverse industrie dolciarie in Liguria (a Genova: Panarello, Grondona, Preti per ricordarne alcune), oltre che in tutti i forni della città e in Piemonte, nella zona di Ovada. BISCOTTI DEL LAGACCIO con lievito di birra (Bescheutti do Lagasso) INGREDIENTI: Per la biga: 200 g farina tipo 1 forte (W320) 100 g acqua 2 g lievito di birra disidratato Impasto: la biga 500 g farina tipo 1 media forza (W 270) 200 g zucchero 200 g acqua 150 burro morbido 3 cucchiai liquore sambuca (o 4 g semi anice) 2 g sale 2 g lievito di birra disidratato PROCEDIMENTO: La sera prima impastate per pochi minuti la biga. In una ciotola mettete la farina, aggiungete l’acqua (fredda) in cui avrete fatto sciogliere il lievito. Impastate velocemente e brevemente, avrete un risultato non omogeneo, un po’ a briciole. Ponete in una ciotola, coprite con pellicola e lasciate fermentare ad una temperatura di 24°C per un tempo di 8-12 ore. Quando la biga sarà arrivata a maturazione potrete procedere con l’impasto. Nella ciotola dell’impastatrice mettete la biga, l’acqua (solo 150 g, gli ultimi 50 g teneteli da parte ed uniteli solo se necessari), la farina, lo zucchero e il liquore (o i semi di anice). Impastate fino a raggiungere l’incordatura quindi aggiungete il sale e il burro a pezzettini piccoli pochi alla volta. Dovrete ottenere un impasto liscio ed omogeneo, ben incordato, a questo punto trasferitelo in una ciotola dopo avergli dato una forma sferica e lasciatelo puntare per un’ora. Quindi dividete l’impasto in tre parti e formate tre filoni, disponeteli su di una teglia coperta di carta forno e lasciateli lievitare fino al raddoppio al riparo da correnti. Cuoceteli in forno già caldo a 180°C fino a completa cottura. Trasferiteli su un gratella e lasciateli raffreddare completamente. Il giorno successivo (lasciate riposare una notte i biscotti prima di tostarli) tagliate a fette oblique di circa 2 cm, disponetele su una teglia e fatele tostare fino a doratura in forno caldo a 180°C. Conservare in una scatola di latta, durano molto tempo, se non li mangiate tutti prima! NOTE: - la tradizione vuole che i biscotti del Lagaccio vengano preparati con lievito madre, se volete provare è sufficiente sostituire la biga con 150 g di pasta madre rinfrescata e seguite il resto della ricetta eliminando del tutto il lievito di birra. - potrete preparare i biscotti del Lagaccio anche con solo olio extravergine di oliva (per me li preparo sempre solo con olio extravergine) utilizzandone 120 g e aggiungendo 30 g di acqua al totale. - infine per quanto riguarda gli aromi, normalmente si trovano aromatizzati con vaniglia. La mia versione alla sambuca (o anice) mi ricorda le colazioni di quando ero bambina, sono i miei biscotti del Lagaccio! Buon appettito! Se volete essere sempre informati sui nuovi post di Fotocibiamo, vi ricordiamo che potete trovarci sulla nostra Fanpage (https://www.facebook.com/Fotocibiamo-228513900683818) di Facebook.
blog su cucina tradizione ligure con incursioni in Italia e nel mondo, fotografia di cibo (food photography) e passioni di una moglie e un marito
Ciao a tutti! Finalmente un’altra settimana è finita. Da quando la nanetta grande ha iniziato la scuola, mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. Quando andavo a scuola, appena passava Pasqua, iniziavo a contare i giorni che ci separavano dalle vacanze estive aggiornando ogni giorno il conto alla rovescia sul diario. Ora, non è poi così diverso, sì mi sono modernizzata, ma il conto alla rovescia l’ho preparato lo stesso. Oggi il mio computer mi avvisa che, qui in Liguria, mancano 31 giorni effettivi di scuola. Mai come quest’anno non vedo l’ora di squagliarmi al sole! Quindi dobbiamo festeggiare. Abbiamo scelto un piatto scenografico. Un secondo di pesce goloso e sano, che mi aiuti a conciliare l’esigenza di far mangiare ai nanetti pesce e verdura quasi senza che se ne accorgano. E allora, prendiamo il salmone, lo sfilettiamo, tra i due filetti mettiamo una generosa porzione di spinaci saltati con poco olio e sale, avvolgiamo il tutto con due crepes alle erbette (necessarie per isolare l’umido del ripieno dal suo guscio mantenendo la pasta asciutta e friabile). “Impacchettiamo” il tutto con uno strato di pasta brioche, lo decoriamo con le decorazioni che più ci piacciono, ad esempio dei semi di lino e di sesamo, quindi via in forno e il piatto è pronto da portare in tavola. Un piatto semplice ma di grande effetto! Ed anche per questa volta mamma-nanetti 1-0! Ma che fatica! In realtà mi ha aiutato in questa battaglia Michel Roux: sua è la brioche che avvolge il salmone e sua è l’idea e la ricetta della crepes di protezione. Tutte e due le ricette sono state tratte dal suo libro “Frolla&Sfoglia”. SALMONE IN CROSTA DI BRIOCHES INGREDIENTI: per la pasta brioche: 450 g farina multicereali 260 ml latte tiepido 90 g burro leggermente ammorbidito 45 g zucchero 12 g lievito fresco (3 g secco) 10 g sale 50 g tuorli (3 tuorli) 1 uovo sbattuto con 1 cucchiaio di latte per il ripieno: 1,5 kg salmone (un trancio) 300 g spinaci olio extravergine di oliva sale e pepe q.b. per le crepes di erbette: 150 ml latte 60 g farina debole 15 g di erbette (prezzemolo, erba cipollina e aneto) 100 g uova (2 uova medie) sale e pepe macinato al momento burro per cuocere PROCEDIMENTO: Per la brioche. Sciogliete il lievito nel latte tiepido. Nella planetaria (ma potete anche procedere a mano) con il gancio inserito mettete la farina, il sale e le uova e aggiungete il latte e il lievito. Mescolate a bassa velocità per 5 minuti. Ripulite le pareti della ciotola con una spatola e continuate ad impastare per una decina di minuti, ottenendo un impasto liscio e ben amalgamato. Da parte mescolate il burro con lo zucchero. Aggiungete qualche pezzetto di questo composto all’impasto quindi, con la planetaria al minimo, aggiungete il resto, un pezzo alla volta aspettando che venga assorbito dall’impasto. Aumentate la velocità una volta incorporato tutto il burro e continuate ad impastare per 5-6 minuti finché sarà perfettamente incordato. Togliete il gancio, lasciate l’impasto nella ciotola, coprite con un panno e lasciate lievitare a 24°C per circa 2 ore o comunque fino al raddoppio. Trascorse le due ore, sgonfiate la pasta impastandola velocemente a mano. Ponete l’impasto in una ciotola, coprite con la pellicola e trasferite il tutto nel frigo per qualche ora (non più di 24). Io ho preparato la brioche la sera precedente e l’ho lasciata riposare in frigo per tutta la notte. Trascorso il tempo di riposo in frigo, la pasta è pronta per essere usata e lavorata. Prepariamo il ripieno. Pulite gli spinaci eliminando le foglie vecchie e lavateli in acqua, senza asciugarli fateli stufare in padella con poco olio e aggiustando di sale. Teneteli da parte e fateli raffreddare. Squamate e sfilettate il salmone. Seguendo la lisca dorsale, praticate un’incisione lungo il lato della lisca, quindi intaccate la polpa e staccatela. Fate scorrere il coltello fino alla fine sollevando con la mano la parte già staccata. Nello stesso modo ricavate il secondo filetto. In una padella mettete 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, quindi, dopo averli salati e papati, fate saltare i filetti una per volta su fuoco alto per 2-3 minuti per parte, finché saranno leggermente dorati da entrambi i lati. Trasferiteli poi su un piatto e lasciatelo raffreddare. Preparate le crepes. In una ciotola mettete la farina, quindi aggiungete un terzo del latte, le uova e il sale. Mescolate con una frusta fino ad avere una pastella omogenea, quindi aggiungete il restante e continuate a mescolare. Coprite con la pellicola e lasciate riposare una mezz’ora. Aggiungete quindi le erbe aromatiche appena prima di cuocerle. Ungete una padellina da crepes con il burro quindi cuocete le crepes. Tenete da parte. Probabilmente vi avanzeranno alcune crepes ma potrete farcirle con un ripieno salato per un pasto veloce. A questo punto siete pronti per assemblare il tutto. Stendete la pasta sulla spianatoia leggermente infarinata in un rettangolo 30x40 cm e 3 mm di spessore. Rifilate i bordi e mettete una crepes al centro del rettangolo, per il lungo. Poggiatevi sopra un filetto, coprite con gli spinaci, sovrapponete il secondo filetto ed infine coprite con un’altra crepes. Avvolgete sul salmone ed eventualmente rifilate le parti che si sovrappongono. Richiudete la pasta sopra alle crepes, sigillate bene i bordi ed eventualmente decorate il guscio che si è creato a vostro gusto, io ho fatto una griglia con la pasta avanzata e ho decorato con. Trasferitelo su una teglia coperta di carta forno e mettetelo in frigo per 30 minuti. Nel frattempo scaldate il forno a 180°C. Quando il forno sarà a temperatura, spennellate con uovo e latte la superficie del guscio, aggiungete i semi di lino e di sesamo, fate 2-3 forellini sul guscio con uno stecchino ed infornate per 45-50 minuti. Una volta cotto, lasciatelo riposare 5 minuti quindi tagliatelo a fette spesse 1,5 cm e servitelo subito. Buon appetito!
Ciao a tutti! oggi per lasciarvi i nostri auguri di una serena e felice Santa Pasqua, abbiamo scelto una ricetta della tradizione ligure, il Cavagnetto di Brugnato, per tradizione un dolce preparato il giorno della vigilia e consumato la mattina di Pasqua a colazione dopo che, il giorno prima, dai bambini era stato fatto benedire in chiesa. Siamo stati “rimproverati” da una nostra affezionata lettrice. Secondo lei negli ultimi post abbiamo un po’ tradito l’essenza di Fotocibiamo e le piacerebbe vederci tornare all’antico. Non posso che darle ragione, ritorneremo a raccontare della nostra città, della nostra regione, di noi, proprio come abbiamo sempre fatto concedendoci solo piccole escursioni all’esterno! E così eccoci, dopo la Gran Bretagna e l’Argentina, torniamo a casa. Ma non rimaniamo a Genova, ci spostiamo nell’estrema riviera di Levante, precisamente a Brugnato, un antico borgo fondato ai piedi dell’Appennino, alla confluenza dei torrenti Gravegnola e Chiocciola con il Vara, in provincia di La Spezia. Qui si producono i Cavagnetti, dolci tipici del periodo pasquale che devono il loro nome alla forma insolita che hanno, cioè di un piccolo cestino (cavàgna, cavagnétto) col manico che racchiude al suo interno un uovo intero col guscio. L’impasto è molto simile a quello del più famoso canestrello di Brugnato ed è una pasta lievitata aromatizzata all’anice. La versione che vi presento oggi con la glassa alle mandorle è una versione più casalinga, legata alle tradizioni familiari e la sua ricetta viene tramandata di famiglia in famiglia. Il cavagnetto viene anche preparato in una versione “nuda” senza la glassa di guarnizione. Un noto proverbio genovese recita: Pasqua de resurrezion, se mangia l’euvo pe’ devozion.. (Pasqua di resurrezione si mangia l’uovo per devozione) la mattina del giorno di Pasqua al capofamiglia veniva offerta un uovo come simbolo di rigenerazione, di continuità e della vita. Ai bambini le uova venivano offerte invece racchiuse nei cavagnetti. CAVAGNETTO DI BRUGNATO Ricetta tratta dal libro “Lievitati di Liguria dolci&salati”, V.Venuti e I.Fioravanti, ed. SAGEP INGREDIENTI per due cavagnetti: 450 g farina W260 120 zucchero 100 g burro 100 g acqua 5 g lievito di birra disidratato 2 uova liquore all’anice (io non l’ho messo) ½ cucchiaino semi di anice 5 g sale per la decorazione: 2 uova crude per la glassa: 50 g mandorle 80 g zucchero 50 g albumi zucchero in granella q.b. zucchero a velo q.b. PROCEDIMENTO Prepariamo un pre-impasto. In una ciotola mescolate 150g di farina presi dal totale con l’acqua (100g) e il lievito. Impastate velocemente per ottenere un panetto morbido che dovrete riporre nella ciotola, coprire con pellicola e lasciar lievitare al caldo fino al raddoppio. Nella ciotola dell’impastatrice (ma va benissimo anche a mano) mettete il resto della farina, lo zucchero, le uova e i semi di anice (volendo potete aggiungere anche 2 cucchiai di liquore all’anice) e tutto pre-impasto lievitato. Tenete da parte il sale e il burro. Una volta che l’impasto si sarà formato aggiungete un pezzetto alla volta il burro alternandolo con il sale. Impastate ancora fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. Trasferite sulla spianatoia l’impasto, date forma sferica e riponete a lievitare in una ciotola unta coperta con pellicola al caldo per circa 40 minuti. Riprendete l’impasto, dividetelo in due parti e da ogni parte togliete una noce di impasto. Formate dalle parti più grandi due filoni (indicativamente 50 cm) e dalle due parti piccole quattro piccoli filoncini. Ora potete formare la vostra coppia di cavagnetti: prendete un filone lungo ed unitelo a formare una ciambella, sulla parte unita posate l’uovo crudo e fermatelo con una croce fatta dai due dei quattro piccoli filoncini preparati prima. Ripete l’operazione col secondo filone. Riponete i cavagnetti su una o due teglie coperte di carta forno, copriteli con pellicola e fate lievitare un’ultima volta per circa 60 minuti. Mentre i cavagnetti lievitano, preparate la glassa con cui decorarli. In un frullatore ponete le mandorle e lo zucchero e tritate finemente. Quindi aggiungete al composto: l’albume e la fecola mescolando a mano. Ponete in frigo fino all’utilizzo. Quando saranno lievitati, cospargeteli con abbondante glassa, quindi aggiungete la granella di zucchero e spolverate di zucchero a velo. Cuocete in forno già caldo a 180°C per 40 minuti, facendo attenzione a che non bruniscano troppo le croci sulle uova, se necessario copritele con poco alluminio. Fate raffreddare su una gratella da dolci. Buon appetito! Non ci resta che augurarvi una felice e serena Santa Pasqua
Ciao a tutti! Conoscete la Frandura? Immaginate di tornare al lontano 1800, a Montalto Ligure, un paesino dell’entroterra imperiese a metà della valle Argentina, arroccato su un colle che la sovrasta. Un ambiente contadino, semplice, povero. Sembra che i contadini di questo ameno borgo, nelle loro giornate di lavoro si sfamassero proprio con la frandura: una torta salata fatta di soli 4 ingredienti (escludendo sale e olio) in cui le patate sono protagoniste in un prodotto di una semplicità disarmante. Oggi la Frandura è diventata simbolo di Montalto tanto che in agosto viene organizzata una sagra interamente dedicata a lei. Le patate furono importate in Europa dalle Ande alla metà del Cinquecento ad opera degli spagnoli, ma in Liguria iniziarono ad essere utilizzate solo alla fine del Settecento quando don Michele Dondero, parroco di un paesino della valle Fontanabuona, riuscì con non poche difficoltà a farle apprezzare ai suoi parrocchiani. Da lì lentamente si distribuirono in tutta la Liguria assumendo grande importanza nell’alimentazione, prova ne sono le mille ricette della nostra tradizione con le patate come protagoniste: ad esempio focaccia di patate e torta Baciocca per dirne due. Ora non avete scuse nella Giornata nazionale della Patata. Preparate patate, latte, farina e formaggio e venite con me a preparare questa deliziosa torta, rimarrete stupiti dalla sua ricchezza. FRANDURA INGREDIENTI per una teglia diametro 34 cm (5 persone): 850 g patate (al netto degli scarti) 350 ml latte 250 g farina 100 parmigiano reggiano (in origine pecorino) olio extravergine di oliva noce moscata (mia aggiunta) sale q.b. PROCEDIMENTO: Sbucciate le patate e con l’aiuto di una mandolina tagliatele a fettine molto sottili, circa 2 mm, e disponetele a spina di pesce (cioè leggermente sovrapposte tra loro) in una teglia precedentemente unta di olio. Salate. Per tradizione questa torta viene cotta nelle teglie di rame (i testi della farinata) ma se non li avete potete utilizzare una teglia di alluminio coperta di carta forno. Preparate una pastella liquida con la farina, noce moscata e il latte, mescolate energicamente con una frusta a mano in modo da eliminare eventuali grumi. Aggiustate di sale. Con questa quantità di patate si riescono a fare due strati. Completato il primo strato coprite le patate con poca pastella quindi continuate col secondo strato. Infine ricoprite il tutto con la pastella distribuendola su tutta la superficie. In realtà secondo la ricetta originale la pastella tra i due strati non viene messa, normalmente si dispongono tutte le patate e si copre con la pastella solo alla fine. Cospargete la superficie con abbondante parmigiano reggiano grattugiato. Cuocete in forno già caldo a 200°C per circa 30 minuti o comunque fino alla formazione di una croccante crosticina sulla superficie. Controllate con una forchetta la cottura delle patate prima di sfornare. Va servita sia calda che fredda, qui hanno preferito la versione tiepida! Note: Come ogni ricetta della tradizione che si rispetti, anche la frandura ha mille varianti: nella versione di Badalucco, un paesino vicino a Montalto, sembra che la frandura sia arricchita anche da due uova. Il procedimento è lo stesso ma nella pastella il latte si riduce a 250ml e vengono aggiunte 2 uova, creando una versione ancora più completa. nella versione indicata nel “Codice della cucina Ligure”,pubblicato in schede da Il secolo XIX nel 1982, oltre a chiamarla Frandurà invece di Frandura, nella pastella vengono messe le uova come a Badalucco ed inoltre viene aggiunto un trito di pomodori, basilico, prezzemolo e una spolverata di noce moscata. Insomma una torta che vista la sua semplicità, si presta ad un interminabile numero di variazioni, il fotografo già se la immagina con uno strato di gorgonzola tra i due strati di patate! Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti della Giornata Nazionale del Patata.
Click to translate
Ciao a tutti! Eccoci al nostro appuntamento con la rubrica, “Alla mensa coi Santi”. Oggi prepareremo insieme le pizze fritte in onore di Sant’Anna, amata e venerata in molte città italiane. Come ogni mese abbiamo cercato di comporre un piccolo menù con le nostre proposte dedicate ai Santi festeggiati nel mese in corso. Qui da noi troverete un antipasto che può essere anche un aperitivo o una merenda: la pizza fritta dedicata a Sant’Anna, la mamma della Vergine Maria. Miria si è dedicata alla preparazione di un secondo: il Sarchiapone, un piatto dalla cottura lenta e laboriosa che vede protagonista la zucca lunga ripiena di carne e che viene preparato in onore di Santa Maria Maddalena ad Atrani. Infine da Simona troverete un dolce, i Baicoli, biscotti tipici veneziani che servirono a Sant’Ignazio per pagarsi il viaggio verso la Terra Santa. Il 26 luglio si celebra la festa di Sant’Anna, mamma della Vergine Maria. Insieme a lei, lo stesso giorno, viene venerato anche San Gioacchino suo marito e papà di Maria. Le poche notizie che abbiamo di questa coppia di Santi ci sono state tramandate dai Vangeli apocrifi che non fanno parte dei libri sacri della Bibbia e quindi non vengono ritenuti autentici. Nonostante questo in essi si trovano alcuni racconti che vanno a colmare alcune lacune dei vangeli canonici, come nel caso dei genitori di Maria. Sant’Anna apparteneva ad una famiglia di umili origini e sposò molto giovane Gioacchino, molto più anziano di lei. Forse a causa dell’età avanzata del marito, non riuscirono ad avere altri figli al di fuori di Maria che arrivò quando ormai le speranze erano quasi perse, e dopo un lungo esilio nel deserto che Gioacchino si impose dopo essere stato umiliato pubblicamente nel Tempio. In risposta ad un lungo periodo di preghiera, Anna e Gioacchino ebbero la visita di un Angelo che annunciò ad entrambi che avrebbero avuto una figlia che avrebbe cambiato molto la storia dell’umanità. Appena la figlia venne al mondo, Anna e Gioacchino non ebbero alcun dubbio e la chiamarono Maria, che in ebraico significa “amata dal signore”. Per tutto questo Sant’Anna è diventata la protettrice delle donne partorienti ed anche dei parti impossibili avendo avuto una figlia in età molto avanzata, ma anche di sarti e affini perché insegnò a Maria a cucire, cucinare e pulire casa. Essendo una Santa molto venerata ha una vasta iconografia che la riguarda: solitamente viene rappresentata anziana con accanto la figlia Maria, con abiti di colore verde e rosso indicanti speranza e amore o talvolta anche blu a indicarne la santità. Il culto di Sant’Anna è molto diffuso nel mondo. Sono tantissimi i paesi che hanno Sant’Anna come patrona della città o che la venerano. Tantissime le parrocchie e le chiese a lei titolate e il nome Anna, che deriva dall’ebraico Hannahe e vuol dire grazia, è tra i più diffusi al mondo. Fonti Ad ognuno il suo Santo. Le pizze fritte con sugo di pomodoro fresco sopra, vengono preparate durante la festa di Sant’Anna che si celebra a Borgo Croci in provincia di Foggia insieme ad altri piatti tipici seguendo un rituale ricco di simbologia. L’impasto della pizza viene fatto lievitare quindi diviso in porzioni e poi fritto solo dopo averlo steso in piccoli dischi di una decina di centimetri, una volta fritto viene condito con un cucchiaio di sugo di pomodoro su cui viene cosparsa una spolverata di parmigiano. Inutile dirvi che qui sono andate a ruba... PIZZE FRITTE INGREDIENTI (per circa 17-18 pizze): 500 g farina 0 270 g acqua 2 g lievito di birra disidratato 10 g saleper il sugo: 4-5 pomodori maturi 1 spicchio d’aglio olio extravergine di oliva poche foglie di basilico sale q.b. per finire: olio di semi di arachide q.b. parmigiano reggiano q.b. PROCEDIMENTO: Nella ciotola dell’impastatrice, si può anche facilmente impastare a mano, aggiungete la farina e il lievito disidratato (il mio lievito non va attivato seguite le indicazioni sul vostro lievito). Azionate l’impastatrice ed aggiungete poco alla volta l’acqua, con l’ultima parte di acqua aggiungete anche il sale. Continuate ad impastare fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Trasferite l'impasto sulla spianatoia, date forma a palla quindi riponete in una ciotola unta di olio, coprite con un canovaccio umido e fate lievitare fino al raddoppio. Riprendete l’impasto quindi dividetelo in porzioni da circa 45-50 g ciascuna. Arrotondate ogni pezzetto e pirlatelo. Spolverate la spianatoia con la farina e allineate le palline distanziate tra loro, coperte con un canovaccio asciutto e fate riposare 30 minuti. Nel frattempo preparate il sugo. In una padella scaldate 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, aggiungete lo spicchio d’aglio “in camicia” (senza sbucciarlo), quindi aggiungete la polpa dei pomodori e qualche fogliolina di basilico. Fate insaporire il tutto a fuoco vivace quindi abbassate il fuoco, eliminate l’aglio e fate cuocere per circa 20 minuti. Aggiustate di sale. Se necessario aggiungete un cucchiaino di zucchero, ma con i pomodori freschi dovrebbe essere superfluo. In una pentolina a bordi alti e stretta, ho fritto una pizza alla volta, scaldate l’olio di semi di arachide. Stendete ora una pallina partendo dal centro aiutandovi con le dita, tirate la pasta ai bordi fino ad ottenere un disco di circa 10 cm di diametro. Quando l’olio avrà raggiunto la giusta temperatura, friggete le vostre pizze una alla volta. Immergete la pizza nell’olio, appena ritornerà in superficie con un piccolo mestolo o anche un cucchiaio schiacciatela al centro per una decina di secondi in modo da creare una fossetta che poi potrete farcire con il sugo e il formaggio. Fate dorare la pizza da entrambi i lati, mantenete costante la temperatura dell’olio e cuocete a fuoco basso in modo che la pizza cuocia bene anche all’interno e non solo in superficie. Scolatela su carta assorbente quindi stendete un’altra pallina e friggetela. Continuate così fino all’esaurimento dell’impasto. Una volta fritte aggiungete su ogni pizza un cucchiaio di sugo di pomodoro e una generosa spolverata di parmigiano reggiano. Servite calde, appena fatte. Buon appetito! Con la rubrica “Alla mensa coi Santi” ci rivedremo il primo di agosto. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Per secoli base dell’alimentazione rurale dell’entroterra ligure, le castagne, in forma di farina, sono l’ingrediente di un antico pane prodotto per tradizione l’11 novembre, giorno in cui si festeggia San Martino. Si tratta del Pan Martìn. Intorno all’albero del castagno, definito anche albero del pane ed in genovese indicato semplicemente come l’Erbu (cioè l’albero) girava gran parte dell’economia dei nostri monti, dove per ragione topografiche era difficile coltivare altri cereali. Nulla del castagno veniva sprecato: con i ricci veniva acceso il fuoco, le foglie venivano raccolte per il letto degli animali (ricordo ancora mio nonno quando mi diceva che le foglie del castagno tengono caldo a differenza del fieno), i rami potati diventavano legna da ardere, con i teneri polloni si intrecciavano canestri, dagli alberi non innestati veniva ricavato legno per mobili e utensili e poi le castagne, regine incontrastate delle tavole d’autunno e inverno. Le castagne venivano raccolte nei mesi di ottobre e novembre ed essiccate in apposite costruzioni chiamate, in genovese, seccaessi (si legge sèccaisi) al cui interno si trovava un grande graticcio su cui le castagne con la buccia venivano distribuite e fatte seccare con l’aiuto del calore di un focolaio a legna posto al di sotto. Il graticcio lasciava passare il calore e permetteva alle castagne di seccare e quindi di poter essere conservate anche per tutto l’inverno. Dopo averle fatte seccare, le castagne venivano messe nei sacchi di juta e sbattute con forza su una superficie. In questo modo venivano sgusciate e una volta separate dagli scarti si potevano conservare o trasformare in farina. Il Pan Martìn è prodotto in parte con farina di castagne ed è tipico delle valli Graveglia, Stura e Vara. Per tradizione si prepara il giorno di San Martino perché quello era il giorno in cui la prima farina di castagne era finalmente pronta. È un pane scuro, molto gustoso e arricchito nell’impasto anche da noci.Perfetto accompagnato da salumi e formaggi. Prende il suo nome da San Martino il quale, facendo parte della guardia imperiale, partecipava alle ronde di notte e alle ispezioni dei posti di guardia. Durante una di queste ronde in un rigido inverno, incontrò un mendicante seminudo. San Martino tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise col povero. Proprio in ricordo di questo taglio che cambiò la vita al Santo, sul Pan Martìn poco prima della cottura viene fatto un taglio a croce. Oggi nella Giornata Nazionale della Castagna non vi resta che seguirmi in cucina: PAN MARTÌN con farina di castagne e noci Ricetta originale di Nondisolopane INGREDIENTI: Per la biga: 100 g farina Manitoba 50 g acqua 1 g lievito birra (compresso) Per l’impasto: 350 g farina tipo 1 W320 150 g farina di castagne 150 g biga 8 g lievito di birra (compresso) 350 g acqua 10 g olio extravergine di oliva 10 g sale 160 g gherigli di noci PROCEDIMENTO: La sera prima impastate per pochi minuti la biga. In una ciotola mettete la farina, aggiungete l’acqua (fredda) in cui avrete fatto sciogliere il lievito. Impastate velocemente e brevemente, avrete un risultato non omogeneo, un po’ a briciole. Ponete in una ciotola, coprite con pellicola e lasciate fermentare ad una temperatura di 18-20°C per un tempo che può andare dalle 16 alle 20 ore. La mattina successiva. Nella ciotola dell’impastatrice mettete le farine, la biga, il lievito di birra sbriciolato, l’acqua (tenendone da parte 50 g circa) e l’olio. Impastate fino ad arrivare ad incordatura quasi completa, poi aggiungete il sale. Solo se necessario aggiungete l’acqua tenuta da parte. Quando l’impasto si staccherà delle pareti aggiungete i gherigli di noci spezzati grossolanamente, e lasciate impastare ancora pochi minuti in modo che si distribuiscano nell’impasto. Quindi trasferite l’impasto su una spianatoia, dategli una forma a palla e ponetelo, coperto, in una ciotola unta con olio in luogo tiepido a riposare per circa 40 minuti. Ora potete dividere l’impasto in due pagnotte da 500 g, oppure creare un’unica pagnotta, come ho fatto io. Sulla spianatoia date una forma rotonda all’impasto e mettete a lievitare con la chiusura verso l'alto in un cestino da lievitazione abbondantemente spolverato di farina per circa 90 minuti. Rovesciate infine la pagnotta sopra una teglia o direttamente sulla paletta di legno con cui la trasferirete sulla pietra refrattaria. Fate un taglio a croce sulla superficie e infornate in forno caldo a 220°C. Dopo 15 minuti abbassate a 190°C e terminate la cottura ancora per 40 minuti. Bussando sul fondo del pane dovrebbe “suonare” come fosse vuoto. Trasferitelo su una gratella e lasciatelo raffreddare completamente. Note: Potrete variare la proporzione tra le farine, considerando però il fatto che maggiore sarà la percentuale di farina di castagne minore sarà lo sviluppo del pane. Potrete inoltre sostituire la biga con stessa quantità di lievito madre mantenendo anche il lievito di birra oppure eliminando il lievito di birra ma aumentando i tempi di lievitazione. Per capire il tempo giusto per infornare, un metodo poco scientifico ma valido e quello di far la prova dito. Delicatamente col dito schiacciate in un punto la pagnotta e osservate come reagisce: se la superficie torna velocemente al suo posto, deve ancora lievitare; se torna lentamente, ha bisogno di ancora un'oretta di lievitazione; se rimane il buco, via veloce in forno! Oppure con la prova pallina. Quando formate la pagnotta toglietene un piccola parte, pirlatela bene e mettetela in un bicchiere di acqua a temperatura ambiente vicino alla pagnotta: quando la pallina verrà a galla, avrete un'ora di tempo per infornare il vostro pane. La castagna in acqua cotta prende il nome di ballotta se la macini è farina deliziosa e sopraffina (filastrocca popolare) Con questa ricetta partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti per la Giornata Nazionale della Castagna.
Ciao a tutti! Eccoci al nostro appuntamento con la rubrica, “Alla mensa coi Santi”. Oggi prepareremo insieme le melanzane ripiene alla ligure in onore di San Lorenzo, uno dei martiri più venerati dalla chiesa. Come ogni mese abbiamo cercato di comporre un piccolo menù con le nostre proposte dedicate ai Santi festeggiati nel mese in corso. Qui da noi troverete un antipasto che può essere anche un aperitivo o anche un secondo: le melanzane ripiene dedicate a San Lorenzo, martire festeggiato il 10 agosto. Simona si è dedicata alla preparazione di un secondo: i Saltimbocca gustosi alla San Rocco, piatto tipico della Tuscia. Infine da Miria troverete il dolce: la corona di San Bartolomeno, una particolare preparazione tipica della Toscana. Le notizie sulla vita di San Lorenzo sono molto scarse. Si conosce il suo paese di origine, la Spagna, e si sa che compì i suoi studi umanistici e teologici a Saragozza da dove poi si spostò a Roma al seguito di papa Sisto II che lì conobbe. Giunto a Roma divenne responsabile delle attività caritative della diocesi di Roma occupandosi dei poveri della città. Il suo martirio avvenne a causa dell’imperatore Valeriano, che condannò a morte tutti i vescovi, presbiteri e diaconi. Lorenzo fu ucciso quattro giorno dopo papa Sisto II, il 10 agosto, non si ha però certezza sul suo martirio che sarebbe avvenuto su una graticola ardente. In ricordo dei carboni ardenti su cui il santo fu martirizzato, la notte di San Lorenzo è associata al fenomeno delle stelle cadenti. In quei giorni la terra attraversa le Perseidi, un gruppo di meteore, e il fenomeno delle stelle cadenti è particolarmente evidente. Notizie tratte da qui. Per tradizione nella mia regione a San Lorenzo si dedicano le melanzane ripiene. Inutile dirvi che la ricetta vera e propria non esiste, nel senso che ogni famiglia ha la sua. Le melanzane che vengono utilizzate sono quelle tipiche genovesi, delle piccole melanzane tonde, sode, piuttosto amare che quindi ben si prestano ad essere farcite. Le melanzane vanno bollite prima di farcirle e questo passaggio è fondamentale per eliminare un po’ di quell’amaro che è tipico di queste piccole delizie. Non fatevi tentare da cotture più moderne, come quella a vapore, che ha sì il pregio di non far rovinare le melanzane ma non riesce ad eliminare parte dell’amaro delle melanzane. Vediamo come procedere.. MELANZANE RIPIENE ALLA LIGURE INGREDIENTI: 1 kg melanzane piccole tonde pane raffermo q.b. latte q.b. 2 uova 1 cipolla piccola 50 g parmigiano reggiano grattugiato origano essiccato e setacciato olio extravergine di oliva pangrattato q.b. sale q.b. noce moscata q.b. PROCEDIMENTO: Per prima cosa pulite le melanzane senza eliminare completamente il picciolo di ogni melanzana ma eliminando le spine e le foglie attorno al gambo. Quindi tagliatele a metà e lessatele in abbondante acqua salata fino a che la polpa sarà morbida. Scolatele e lasciatele intiepidire. Quando saranno abbastanza fredda da poterle maneggiare, con un cucchiaino svuotate le melanzane e posizionatele in una teglia coperta con carta forno oppure solo oliata. Raccogliete la polpa così ottenuta su un tagliere, eliminate il più possibile l’acqua di vegetazione, strizzando la polpa, quindi tritatela grossolanamente con un coltello. In una padella scaldate due cucchiai di olio, aggiungete la cipolla tritata. Fate appassire ed aggiungete la polpa delle melanzane tritate. con questo passaggio in padella si dà sapore alla polpa delle melanzane ma soprattutto serve ad asciugare la polpa. Fate insaporire per qualche minuto a fiamma vivace quindi raccogliete il tutto in una ciotola. Aggiungete del pane (circa 200-250 g) ammollato nel latte e strizzato, non so darvi una quantità precisa. Aggiungete le uova, il formaggio grattugiato, abbondante origano e abbondante noce moscata. Mescolate bene tutti gli ingredienti, dovrete ottenere un ripieno morbido ed umido. Aiutandovi con un cucchiaino riempite con il ripieno appena fatto tutte le melanzane. Riponetele ordinate una vicina all’altra su una teglia oliata o ricoperta di carta forno. Una volta riempite tutte cospargetele di pangrattato, un giro di olio extravergine di oliva. Infine cuocete in forno già caldo a 180°C per 35-30 minuti. Potrete servirle tiepide ma anche fredde. Note: - nel ripieno potrete aggiungere 150 g di mortadella tritata; - o ancora potrete aggiungere 20 g funghi secchi ammollati e tritati; - potrete inoltre evitare di passare in padella la polpa con la cipolla, utilizzandola subito dopo averla tritata, passandola in padella le donerete più gusto; - potrete riempire le melanzane e surgelarle per poi cuocerle in forno direttamente surgelate; - potrete anche friggere le vostre melanzane invece di cuocerle al forno. Buon appetito! Con la rubrica “Alla mensa coi Santi” ci rivedremo il primo di settembre. Se non volete perdervi neppure un post del nostro Fotocibiamo, vi aspettiamo sulla nostra pagina facebook.
Ciao a tutti! Qualche tempo fa vi ho raccontato dell’arrivo di un nuovo aiutante in cucina, l’essiccatore, e di tutti gli esperimenti che sono iniziati dal momento che è arrivato in cucina. Ahimè devo dire che al momento non ha ancora trovato una collocazione definitiva, potremmo dire che la sua è una vita da nomade, sì insomma, a seconda delle necessità ha già provato tutti gli angoli della cucina! Dopo aver sperimentato diverse farine (zucca, barbabietola, spinaci, basilico quelle provate da me), sono passata alla preparazione del brodo granulare, in realtà tutto questo è avvenuto parecchio tempo fa, talmente tanto che le verdure che ho utilizzato arrivavano ancora dai nostri orti. Avete ragione! Sono terribilmente in ritardo con la programmazione dei post! Quindi quella che vi presento oggi non si può definire una ricetta, ma sono delle semplici indicazioni sui tipi di verdura che possono essere utilizzate per preparare un ottimo e genuino dado granulare. Io ho preso ispirazione da Silvia e Martina. Una volta pronto potreste dividerlo in tanti piccoli barattolini, aggiungere un bel fiocchetto e trasformarlo così in un originale regalino per Natale. Avevo anche chiesto al fotografo che allestisse un set natalizio, con qualche pallina forse anche qualche lucina, ma come potete ben vedere la mia richiesta non è stata accolta! Pazienza! DADO GRANULARE VEGETALE INGREDIENTI: 400 g pomodori ciliegia/pomodori 200 g zucca 3 patate 3 zucchine 2 cipolle rosse 2 coste di sedano 2 carote 1 finocchio piccolo 1 spicchio aglio 4 foglie di salvia 2 rametti rosmarino 2 rametti timo 1 foglia alloro 1 cucchiaino di curcuma sale grosso integrale q.b. PROCEDIMENTO: Per prima cosa pulite tutte le verdure sbucciando quelle da sbucciare ed eliminando eventuali scarti dalle altre. Riducete tutte le verdure in fettine o tocchetti di pochi mm (3-4). Sbollentate le patate in modo da eliminare la solanina contenuta nell'alimento crudo. Dividete i pomodorini a metà, se utilizzate anche pomodori più grandi tagliateli a fette, e disponeteli su carta assorbente in modo da asciugarli un po’. Pulite le erbe aromatiche ma non staccate le foglie dai rametti, che verranno poi eliminati in un secondo tempo. A questo punto se avete l’essiccatore: disponete con ordine tutte le fettine di verdure nei vari piani dell’essiccatore in modo che ogni spazio sia coperto ma anche che le fettine non siano troppo sovrapposte tra loro. Accendete l’essiccatore ad una temperatura di 50°C per 8 ore. Ho scelto di mantenere la temperatura abbastanza bassa in modo da mantenere il più possibile inalterati i nutrienti delle verdure. Trascorse le 8 ore (normalmente utilizzo l’essiccatore la notte!) raccogliete tutte le verdure, eliminate i rametti delle piante aromatiche, pesate il tutto e aggiungete pari quantità di sale grosso integrale (io ho ottenuto 240 g di verdure essiccate ed ho aggiunto 240 g di sale grosso integrale) quindi frullate il tutto. Dopo averlo frullato (io non l’ho frullato troppo fine) coprite con un foglio di carta forno ogni ripiano dell’essiccatore, distribuite il dado tra i vari piani e lasciatelo ancora essiccare per 5-6 ore. Questo passaggio vi garantisce una perfetta essiccazione, elemento importantissimo per una buona durata del prodotto. Per essere assolutamente certi che tutto sia ben essiccato, una volta riposto nei vasetti, fate attenzione che i giorni successivi alla chiusura non si sviluppi della condensa sul tappo. Se questo accade (vale per tutto le cose essiccate, non solo per il dado) ridistribuite il dado nell’essiccatore e lasciatelo ancora qualche ora ad essiccare. Riponete tutto in barattolini chiusi, si conserva per molto tempo anche grazie alla presenza del sale. E’ perfetto per insaporire ogni vostra pietanza o per preparare il brodo vegetale. Potete prepararlo anche utilizzando il forno di casa: distribuite le verdure leggermente sminuzzate su una teglia coperta di carta forno. Quindi infornate a 50°C con forno ventilato avendo l’attenzione ogni tanto di aprire il forno per far uscire l’umidità. Lasciate nel forno fino alla completa essicazione, quindi potete procedere come da ricetta. Buon appetito! P.S. Vi svelo un piccolo segreto, nel post ci sono due foto scattate da me. Buon fine settimana!!!
blog su cucina tradizione ligure con incursioni in Italia e nel mondo, fotografia di cibo (food photography) e passioni di una moglie e un marito
Ciao a tutti! Conoscete la Frandura? Immaginate di tornare al lontano 1800, a Montalto Ligure, un paesino dell’entroterra imperiese a metà della valle Argentina, arroccato su un colle che la sovrasta. Un ambiente contadino, semplice, povero. Sembra che i contadini di questo ameno borgo, nelle loro giornate di lavoro si sfamassero proprio con la frandura: una torta salata fatta di soli 4 ingredienti (escludendo sale e olio) in cui le patate sono protagoniste in un prodotto di una semplicità disarmante. Oggi la Frandura è diventata simbolo di Montalto tanto che in agosto viene organizzata una sagra interamente dedicata a lei. Le patate furono importate in Europa dalle Ande alla metà del Cinquecento ad opera degli spagnoli, ma in Liguria iniziarono ad essere utilizzate solo alla fine del Settecento quando don Michele Dondero, parroco di un paesino della valle Fontanabuona, riuscì con non poche difficoltà a farle apprezzare ai suoi parrocchiani. Da lì lentamente si distribuirono in tutta la Liguria assumendo grande importanza nell’alimentazione, prova ne sono le mille ricette della nostra tradizione con le patate come protagoniste: ad esempio focaccia di patate e torta Baciocca per dirne due. Ora non avete scuse nella Giornata nazionale della Patata. Preparate patate, latte, farina e formaggio e venite con me a preparare questa deliziosa torta, rimarrete stupiti dalla sua ricchezza. FRANDURA INGREDIENTI per una teglia diametro 34 cm (5 persone): 850 g patate (al netto degli scarti) 350 ml latte 250 g farina 100 parmigiano reggiano (in origine pecorino) olio extravergine di oliva noce moscata (mia aggiunta) sale q.b. PROCEDIMENTO: Sbucciate le patate e con l’aiuto di una mandolina tagliatele a fettine molto sottili, circa 2 mm, e disponetele a spina di pesce (cioè leggermente sovrapposte tra loro) in una teglia precedentemente unta di olio. Salate. Per tradizione questa torta viene cotta nelle teglie di rame (i testi della farinata) ma se non li avete potete utilizzare una teglia di alluminio coperta di carta forno. Preparate una pastella liquida con la farina, noce moscata e il latte, mescolate energicamente con una frusta a mano in modo da eliminare eventuali grumi. Aggiustate di sale. Con questa quantità di patate si riescono a fare due strati. Completato il primo strato coprite le patate con poca pastella quindi continuate col secondo strato. Infine ricoprite il tutto con la pastella distribuendola su tutta la superficie. In realtà secondo la ricetta originale la pastella tra i due strati non viene messa, normalmente si dispongono tutte le patate e si copre con la pastella solo alla fine. Cospargete la superficie con abbondante parmigiano reggiano grattugiato. Cuocete in forno già caldo a 200°C per circa 30 minuti o comunque fino alla formazione di una croccante crosticina sulla superficie. Controllate con una forchetta la cottura delle patate prima di sfornare. Va servita sia calda che fredda, qui hanno preferito la versione tiepida! Note: Come ogni ricetta della tradizione che si rispetti, anche la frandura ha mille varianti: nella versione di Badalucco, un paesino vicino a Montalto, sembra che la frandura sia arricchita anche da due uova. Il procedimento è lo stesso ma nella pastella il latte si riduce a 250ml e vengono aggiunte 2 uova, creando una versione ancora più completa. nella versione indicata nel “Codice della cucina Ligure”,pubblicato in schede da Il secolo XIX nel 1982, oltre a chiamarla Frandurà invece di Frandura, nella pastella vengono messe le uova come a Badalucco ed inoltre viene aggiunto un trito di pomodori, basilico, prezzemolo e una spolverata di noce moscata. Insomma una torta che vista la sua semplicità, si presta ad un interminabile numero di variazioni, il fotografo già se la immagina con uno strato di gorgonzola tra i due strati di patate! Buon appetito! Con questa ricetta partecipo al Calendario del Cibo Italiano e ai festeggiamenti della Giornata Nazionale del Patata.